Nell’autunno del 68 anche a Sondrio il terreno era ormai pronto per far germogliare “ i semi della rivolta”. E la “rivolta” pur cambiando  obiettivi e modalità di lotta  durò, con alti e bassi,  per tutti  i 10 anni del lungo ’68.

I racconti del ’68 ci consentono di seguire passo dopo passo la nascita, lo sviluppo e il ripegarsi su se stesso del movimento degli studenti in provincia di Sondrio.

La contestazione partì dal Liceo Classico agli inizi dell’anno scolastico 1968/69.

“Il mio incontro con il movimento avvenne nell’autunno del 1968 all’inizio del terzo e ultimo anno al Liceo Classico “Piazzi” a Sondrio. Poco o nulla sapevo di politica, la spinta venne dall’insofferenza, covata per anni, nei confronti di una scuola che mi appariva noiosa ed inutile e dalla prospettiva di poter agire per un cambiamento.  L’anno scolastico 68/69 fu un anno vivace anche nelle scuole di Sondrio, con tante assemblee e manifestazioni e il Centro Rosselli divenne un luogo aperto (avere le chiavi) per gli studenti che potevano riunirsi liberamente in una sala capiente. Devo dire che prima di allora  ignoravo che esistesse il Rosselli.” (Angelo)

“Quando nel ’68 arrivò il vento da Milano, e naturalmente dal maggio francese, al Classico la terza e ultima classe  del liceo si slanciò in contestazioni ai professori, sit in nei corridoi,  pagati con un disastroso e punitivo esame di maturità, e anche ai periti e alle magistrali si svolgevano  assemblee  assolutamente autonome, cioè senza la presenza dei professori e del preside, vera e propria conquista ottenuta, come nel resto d’Italia,  con trattative estenuanti, con passaparola da una scuola all’altra, con azioni intrepide, ma mai illegali, tra l’opposizione e lo sconcerto di quasi tutti i professori cosiddetti di sinistra, che non capivano proprio, come del resto, per quel che mi ricordo e che leggevo nella stampa nazionale, i quadri del PCI.”  (Marina)

La  protesta fu, all’inizio, indirizzata soprattutto contro gli aspetti autoritari e di classe del sistema scolastico italiano.

“Nel 1968 frequentavo, come ho già detto, il Ginnasio. A scuola si respirava un clima autoritario. Non veniva concesso spazio espressivo, se non da parte di alcuni docenti che avevano, nell’insieme, poche ore. Le lezioni si svolgevano in modo intenso, secondo una rigida successione di spiegazione e verifica. La relazione docente-discente era impostata in modo gerarchico, tale da rendere evidente la distanza tra i ruoli, che era nello stesso tempo forma e sostanza della relazione. Il dialogo, conseguentemente, non aveva spazio,(…) “(Luisa)

Come emerge dai racconti di Marina e di Enzo, che viveva a Milano, ma che ebbe con i movimenti della nostra provincia una significativa frequentazione, gli aspetti classisti si evidenziavano già nei primi anni di scuola .

“La mia maestra, molto professionale per chi riusciva a seguirla, i cui insegnamenti di grammatica ricordo ancora con chiarezza, mi fece percepire le differenze sociali  dal modo in cui trattava le bimbe dei rimpatriati dalla Francia o dal Belgio delle miniere, che stavano riempiendo il quartiere popolare dove vivevo. Case popolari nuove, appartamentini da piccola borghesia,  ma anch’io avevo conosciuti fino agli anni ’60 le corti oscure, le case basse e senza riscaldamento; avevo parenti che erano anch’essi emigrati che però ci portavano aria di modernità insieme a banane e cioccolato .  A scuola osservavo  introiettando però un certo qual senso di ingiustizia, e anche di vergogna per me, bambina pulita, tranquilla, scolara perfetta.” ((Marina)

La scuola media più comoda (grazie al tram 31) era la media Parini situata proprio di fianco e nello stesso edificio dell’omonimo Liceo Classico più centrale di Milano.

Lì mi trovai immerso e travolto da una pratica d’insegnamento assolutamente autoritaria e autoreferenziale. Immessi per via del 31 nella scuola fino a poco tempo prima frequentata solo dai figli della migliore borghesia milanese, noi periferici eravamo ben distinguibili fin dal nostro aspetto fisico. I nostri compagni di classe abitanti in centro avevano i capelli sempre ben pettinati e curati e, soprattutto, avevano abiti su misura molto eleganti per non parlare delle scarpe. Io che ero fra i più benestanti dei periferici me la cavavo, ma molti altri del 31 segnalavano nel loro abbigliamento condizioni di vera povertà (molti erano figli di operai della Pirelli).

Lì sperimentai, per usare un’espressione del ’68, sulla mia pelle, cosa significa una scuola classista ed autoritaria. Lo strumento della selezione era principalmente il Latino. La scuola media prima di quella riformata nel ’62 era largamente dominata da Lettere. In 5 giorni su 6 vi erano 3 o 4 ore di Lettere. L’insegnante occupava quasi tutte le sue ore “insegnando” Latino. Di fatto pretendeva che si imparasse arrangiandosi per proprio conto. Solo nell’ultima mezz’ora si occupava delle altre materie in pratica assegnando una quantità incredibile di compiti e di parti dei libri di testo da imparare. L’insegnante di matematica era forse peggio. La sua “didattica” consisteva nel fare eseguire espressioni algebriche o dimostrazioni di geometria a turno a tutti gli alunni. Alla minima esitazione passava al successivo. Il risultato era che solo 5 o 6 riuscivano a capire qualcosa. Gli altri dopo poco arrancavano. Il risultato complessivo di queste pratiche fu che su 32 alunni i promossi a giugno furono 7 con 9 subito bocciati.Degli altri 16 altri 5 furono bocciati a settembre.” (Enzo)

Centrale fu, in quel primo periodo di lotte, anche la rivendicazione del diritto a riunirsi in assemblea senza la presenza dei professori. L’assemblea, dal momento che tutti gli studenti avevano il diritto di  parteciparvi  e di  prendere la parola, era ritenuta  l’unico  vero strumento di democrazia, e in quanto tale , l’unico ambito in cui dovevano essere assunte le decisioni relative alle rivendicazioni degli studenti.

La partecipazione alle assemblee e la loro gestione non fu, comunque, un’esperienza semplice.

“Vi partecipavano solo gli studenti seriamente motivati. Non si saltavano lezioni e, naturalmente, bisognava recuperare lo studio in altro orario. Proprio in tale ambito prese avvio una lettura della situazione dell’istituto, con particolare riguardo alla relazione autoritaria, al sapere che veniva trasmesso, ritenuto lontano dalla vita reale e proposto in forma acritica, alle modalità di controllo del comportamento degli studenti e di verifica degli apprendimenti. Dietro lo stimolo dell’assemblea, si affermarono con maggiore decisione e incisività gli interventi degli studenti nelle classi, fino a quel momento timidi ed episodici, volti ad un’analisi critica dello stato delle cose e a proporre dei cambiamenti. Nella mia classe eravamo in pochi a fare questo, tre o quattro al massimo. Non era facile intervenire poiché comportava assumersi delle responsabilità personali, anche per conto di chi condivideva, ma non si sentiva di esporsi.” (Luisa)

“Delle Assemblee che tenemmo nel primo periodo di cui sto parlando, ricordo un vociare confuso e la disputa (non manifesta) per guadagnarsi sul campo il ruolo di leader del movimento. Un po’ poco, ma con il tempo le cose migliorarono. “(Pierluigi)

Si rivendicò e si ottenne anche il diritto a riunirsi a scuola di pomeriggio, sempre senza la presenza dei professori. A distanza di cinquant’anni questa può apparire una conquista di scarsa importanza, ma fino a quel momento gli studenti non avevano mai avuto libero accesso alle struttura della scuola, tanto meno per discutere liberamente dei loro problemi.  La possibilità di riunirsi al pomeriggio acquistava così un valore simbolico; era l’appropriarsi di spazi fisici, le aule, dove gli studenti subivano quotidianamente il peso di una scuola autoritaria nella forma e nei contenuti, per tentare di farne spazi di libertà di pensiero e di parola.

“Per me un altro salto di maturazione culturale  e politica fu l’organizzazione dei gruppi di studio a scuola, di  pomeriggio, senza professori, solo in qualche caso  invitati per le loro competenze e disponibilità all’ascolto: si leggeva Brecht, l’”Opera da tre soldi” andava forte, si ascoltavano i più grandi, ci si rafforzava nella convinzione che la scuola poteva essere diversa tramite la nostra presa di parola. L’autoritarismo dell’istituzione veniva collegato con l’autoritarismo che si individuava nell’apparato statale, ma anche nei rapporti familiari soprattutto con i padri, e la parola speranza  si avvicinava sempre più alla parola rivoluzione. Fu la scoperta di poter usare il proprio giudizio anche nello studio, nella famiglia, nelle relazioni amicali, di potere anche non obbedire, che dava respiro.”((Marina)

L’esempio del Liceo Classico  fu ben presto seguito anche da altri Istituti. Nel novembre del 1968 all’Istituto tecnico Industriale gli studenti si mobilitarono per chiedere il diritto all’assemblea e un cambiamento nell’organizzazione scolastica.

“Rivendicammo con degli scioperi la possibilità di riunirci in assemblea e una volta ottenuto tale diritto le assemblee furono sempre molto partecipate.”(Sergio)

All’Istituto Magistrale continuò, soprattutto nelle ultime classi, il dibattito iniziato l’anno precedente in III A.

“Da questi frammenti di ricordi che escono dalle nebbie del tempo (non sempre supportati dall’analogo ricordo dei miei compagni di classe di allora) forse si intravedono alcuni dei grossi temi posti dal “primo” ’68: l’apertura della scuola alla società e all’attualità, una riforma dei programmi che prevedesse, in letteratura, lo studio degli autori moderni e non solo dei classici e  programmi di storia che affrontassero anche le vicende del ‘900.

Non erano però, queste, richieste organiche e soprattutto non erano ancora, in quei tempi, espressione di un gruppo organizzato. Tutto avveniva in modo frammentario, spontaneistico e al massimo, coinvolgeva alcune classi, non l’Istituto nel suo complesso, come sarebbe avvenuto successivamente (e l’occupazione ne è la conferma). “(Pierluigi)

Sebbene  le idee del ’68 avessero ormai “contagiato” un largo numero di studenti e malgrado il tentativo di realizzare  iniziative comuni come lo sciopero del 4 febbraio 1969 per  la riforma degli esami di stato e della scuola in generale , come ricorda Angelo in quel primo anno fu difficile collegare in modo efficace le lotte delle diverse scuole, quasi prefigurassero nascita e sviluppo di organizzazioni politiche con difficoltà di dialogo anche in Valtellina.

Fin dal suo esordio, l’attenzione del movimento degli studenti  non fu però  concentrata solo sulle problematiche della scuola.

Il 14 novembre 1968 si tenne anche a Sondrio il primo sciopero unitario dalla scissione sindacale del lontano ’48 per ottenere la riforma del sistema previdenziale. Nelle scuole di Sondrio venne distribuito un volantino che invitava a partecipare allo sciopero. Nel corteo che sfilò per le vie di Sondrio ci fu, come segnalano i giornali dell’epoca, una significativa presenza di studenti.

Il volantino non è firmato, ma probabilmente fu redatto dal gruppo di studenti medi e universitari che si riunivano intorno a Don Abramo. In esso la condizione degli studenti veniva assimilata a quella degli operai in quanto entrambi soggetti alla oppressione del potere e gli studenti venivano invitati a portare all’interno della scuola la discussione sulla condizione operaia.

All’istituto magistrale l’invito venne raccolto, grazie anche alla sensibilità del prof. Fioravanti

“Ricordo invece, come ho anticipato, che le ultime frasi di quel volantino mi indussero a chiedere al professor Fioravanti di discutere in classe della situazione del Fossati; la richiesta fu ben accetta e se ne parlò nel corso di una mattinata in cui io fui chiamato a relazionare sul sistema produttivo esistente in quella fabbrica.

Per aggiornarmi in proposito, entrai per la prima volta alla Camera del Lavoro di Sondrio, allora sita in Via Pio Rajna, e parlai lungamente con il Segretario di allora, Natale Contini, che mi accolse con benevola curiosità”((Pierluigi)

Di nuovo nel febbraio del ‘69 gli studenti manifestarono assieme agli operai per la riforma del sistema pensionistico.

Fu l’inizio in valle di un tentativo di instaurare, in modo del tutto nuovo, forme di dialogo e collaborazione tra studenti e operai sui temi della partecipazione, della rappresentanza e dei diritti.

E’ sempre Pierluigi a riportare nel suo racconto  una significativa  testimonianza del fatto che questi tentativi non  furono unidirezionali , ma coinvolsero sia le rappresentanze degli studenti  che quelle dei lavoratori

Nel pubblicare il volantino (degli studenti n.d.r) il giornale sindacale (L’Informatore della Camera del Lavoro di Sondrio n. 7 n.d.r) lo fece precedere da una nota di positivo commento che riconosceva la crescita, dentro le scuole, di uno specifico movimento degli studenti e definiva una “gradevole novità” l’aver trovato fuori dalle aziende, gruppi di studenti “non solamente universitari”, che solidarizzavano con gli operai, una novità che “si auspica abbia un seguito anche nella possibilità di elaborazione comune di problemi economici e sociali”. La nota della Cgil andava oltre, azzardando anche un’analisi per delineare un possibile terreno di incontro tra operai e studenti. Diceva quello scritto: “ In questi ultimi tempi i giovani studenti hanno creato un vasto movimento rivendicativo con una identità di vedute, con una medesima visione dei problemi sociali che pongono la futura classe dirigente italiana a un più diretto contatto con la volontà rivendicativa dello stesso mondo operaio e sindacale. I giovani sono tutti concordi nel condannare i vecchi e superati sistemi, purtroppo ancora esistenti, e auspicare una società migliore. L’esigenza della scuola non consiste tanto nella revisione dei sistemi di insegnamento, che sono sicuramente e certamente antiquati e non più rispondenti alla maturità dei giovani d’oggi, ma nella reale possibilità di creare uomini liberi con piena coscienza delle responsabilità che dovranno affrontare. Ecco che il movimento studentesco posto in questa volontà si ricollega perfettamente a quello operaio che nella rivendicazione pone con forza la esigenza di una vita economica e sociale più adeguata ai tempi, di una reale democrazia, dentro e fuori delle aziende , per un vivere più civile e umano…”.

La pulizia del testo e le argomentazioni usate denotano, a mio avviso, che alla stesura di quella nota collaborò qualcuno che “sapeva di scuola”, probabilmente uno degli insegnanti che avevano deciso di iscriversi alla Cgil e che daranno vita, all’inizio del 1970, al Sindacato Scuola Cgil: uno dei migliori frutti del ’68 valtellinese.”(Pierluigi)

Dire questo non significa però negare l’esistenza di una dialettica a volte anche accesa tra le organizzazioni in cui si articolò il movimento degli studenti e le rappresentanze del movimento operaio, come del resto successe in tutta Italia e come si evidenzierà più avanti

 In questo primo scorcio del ’69 anche le tematiche dell’antimperialismo cominciarono a suscitare l’interesse dei giovani valtellinesi.

Quando nel maggio del ‘69 al Cinema Pedretti venne proiettato il film Beretti Verdi un gruppo di giovani organizzò in piazza Garibaldi una contro manifestazione con la lettura di poesie e canzoni conto la Guerra in Vietnam.

In piazza c’erano studenti

“Nel ’68 avevo sedici anni, avevo le idee abbastanza confuse, mi piaceva la storia e avevo cominciato ad apprezzare la musica classica grazie al mio amico Rini.

Poi tutto cominciò in piazza Garibaldi quando al Pedretti proiettarono il film “Berretti verdi”.

Assistetti alla manifestazione del Movimento Studentesco contro il film senza capirci molto, m’infastidirono però i “fascisti” che attaccarono con violenza ragazze e ragazzi.

A seguito di questa esperienza entrai nel movimento studentesco, che allora aveva una sede in via Scarpatetti. Poco dopo ci fu una specie di scissione di quel gruppo ed entrai a far parte dell’Unione dei Comunisti Italiani (marxisti-leninisti), che ci avevano invitato a mollare tutte quelle “seghe” teoriche per dedicarci, come avevano fatto i “compagni” cinesi, alla rivoluzione (sic).(Andrea)

“Fu così che partecipai anch’io alla protesta davanti al cinema Pedretti per la proiezione del film Berretti verdi (…)

Ma sul marciapiedi antistante l’ingresso si fronteggiavano due gruppi di una certa consistenza: da una parte i compagni, dall’altra i fasci e, in mezzo, qualche agente di polizia. Secondo i ricordi di qualcuno ci sarebbe stata una loro aggressione nei nostri confronti, ma io lo escludo: ci fu una contrapposizione a suon di slogan, che ci urlavamo in faccia, ma non si venne alle mani. A un certo punto mi sembra che fu anche bruciata una bandiera americana, ma su questo non metto la mano sul fuoco. L’episodio ha una certa rilevanza per due motivi. Per un verso, benché vi avessero partecipato anche militanti del PCI, era la prima iniziativa di piazza della sinistra extraparlamentare. L’altro elemento da rimarcare riguarda la destra neofascista: la sua presenza era stata di una certa consistenza a dimostrazione di un cuore nero della città che andava ben oltre la percentuale elettorale del MSI; si trattava inoltre di una presenza giovanile che non era organizzata direttamente dal partito neofascista, ma era legata a sigle e a posizioni politiche alternative, quasi che anche a destra fosse in corso di svolgimento una specie di ’68 generazionale. Era gente che ruotava attorno ad un gruppo che si firmava Occidente. “(Pietro)

Ma anche giovani operai

“Nonostante queste vicissitudini ebbi comunque modo di essere presente ad alcuni momenti topici del ’68 lungo valtellinese: la contestazione del film “Berretti verdi”, il presidio-manifestazione in occasione del comizio di Almirante a Sondrio, la contestazione a Maganetti durante la celebrazione di un 25 aprile a Tirano e tante altre iniziative.” (Adriano)

Come evidenzia Pietro nel suo racconto la manifestazione antimperialista davanti al Cinema Pedretti  fu anche la prima occasione di un pubblico” scontro” tra giovani del movimento studentesco e giovani fascisti.

 

Sul finire dell’anno scolastico 1968/69 , il primo anno in cui il ’68 era arrivato nelle scuole di Sondrio, il movimento studentesco aveva, dunque,  già cominciato a far suoi  alcuni dei grandi temi che agitavano le piazze delle principali città italiane: la lotta antimperialista,  in particolare contro l’imperialismo degli U.S.A , la lotta al fascismo,  le lotte operaie

E sempre in quei mesi prende vita in città la prima organizzazione della sinistra extraparlamentare l’  Unione dei comunisti italiani (marxisti-leninisti). 

“Non ricordo quali circostanze mi portarono ad incrociare l’Unione dei comunisti italiani (marxisti-leninisti), per gli estimatori “Servire il popolo” dal nome del loro giornale, ma per i denigratori, che erano tanti, “Servire il pollo”. L’incontro avvenne nell’estate o nell’autunno del ’69, anno in cui mi diplomai al Magistrale di Sondrio, istituto che avevo frequentato per quattro anni, pendolare su e giù da Tirano, dove vivevo con la famiglia(…). Tornando all’Unione, si trattò per me di un’esperienza breve, così come effimera fu del resto in Valtellina l’attività di questa organizzazione, che “illuminò” i cieli della politica provinciale a partire dall’estate di quell’anno, per poi estinguersi già all’inizio del 1970.” (Sonia)

“Dopo quel “battesimo del fuoco”, all’inizio dell’estate aderii all’Unione dei comunisti italiani marxisti-leninisti e ne fui militante per i pochi mesi in cui questa organizzazione ebbe una sede. Furono comunque esperienze formative soprattutto se si tiene conto del contesto sondriese

alquanto squallido da un punto di vista culturale. Partecipai a volantinaggi nelle scuole e nelle fabbriche, a due manifestazioni dei degenti del  Sanatorio Morelli di Sondalo nel capoluogo della provincia.”(Pietro).

“Nell’estate del ’69 con altri mi avvicinai all’Unione (…)Tra i ricordi di quella mia esperienza militante c’è un errore di una certa gravità per uno che, come me, lavorava anche di linotype: una notte uscimmo per fare scritte murali, io ero addetto allo spray, Aldo, un compagno che studiava medicina, faceva da palo; per fortuna si accorse che avevo scritto “viva Salin” dimenticando la lettera “t”; correggemmo alla bell’e meglio, ma ormai il danno era fatto e non lo si poteva rimediare come ero abituato a fare in tipografia sostituendo la riga di piombo con l’errore con una nuova emendata.”(Wladimiro)

“Nel ’68 avevo 15 anni; ho iniziato l’attività politica nel 1969 a 16 anni.

La prima esperienza è stata la partecipazione a una manifestazione, a Sondrio, dell’Unione dei Comunisti Italiani (m-l). A questa manifestazione, avvenuta nel novembre del ’69 in corrispondenza con uno sciopero generale indetto, mi sembra di ricordare, per il rinnovo dei contratti, partecipò una trentina di persone con tante bandiere rosse e cartelli inneggianti ai rinnovi contrattuali e alla riforma della scuola.” (Piero F.)