Periferici ben distinguibili

 

Sono nato il 18 aprile 1947  (a un anno esatto dal famoso 18 aprile) a Milano.

Il mio contatto con il lungo ’68 valtellinese è avvenuto del tutto casualmente con la conoscenza di uno studente di Sondrio, Carlo Ruina, in occasione del mio primo (se la memoria non mi inganna) esame del corso di laurea in filosofia sostenuto all’Università Statale di Milano (pedagogia, docente Egle Becchi). Arrivato nel novembre 1968 in Università Statale mi ero trovato in un clima infuocato. Ricordo assemblee affollatissime in Aula Magna in cui emergeva come leader principale Mario Capanna. Nella preparazione dell’esame di Pedagogia lessi un’antologia di scritti di Gramsci raccolti in un volume intitolato “La formazione dell’uomo”. Ne rimasi fortemente impressionato. Nessun mio amico aveva scelto il mio corso di laurea e, pur in sintonia con il movimento degli studenti, mi sentivo un po’ sperduto. Ma non ho mai avuto difficoltà nell’intrecciare nuove amicizie e fui ben felice di trovare in Carlo piena sintonia. Più tardi conobbi anche un suo amico, Franco Gianasso (per gli amici Micio). Al nostro rientro dopo le vacanze estive, nell’autunno del 1969, ci accorgemmo che il Movimento Studentesco della Statale era diventato apertamente stalinista. Sia per me che per i miei amici valtellinesi la cosa era inaccettabile. Nel 1971 accettai l’invito dei miei compagni di preparare con loro degli esami andando a Sondrio. Venni ospitato numerose volte, con sua grande generosità, da una compagna (Donata Giacomelli) del gruppo che si andava formando su posizioni di rifiuto dello stalinismo e di recupero critico della pratica e delle teorie leniniste. Così ben presto mi sentii molto più a mio agio nel contesto di Sondrio, dove i rapporti personali si intrecciavano spontaneamente con il sentirsi parte di un movimento politico che non a Milano dove avrei dovuto trovare una mia collocazione in una realtà molto complessa. Non credo di aver avuto un ruolo importante nell’ambito del gruppo; i miei compagni mi apparivano più determinati e sicuri di quanto io non mi sentissi e penso che la loro frequentazione abbia irrobustito le convinzioni che mi stavo formando. Del resto in quel contesto era ben difficile distinguere nettamente tra attività politica, momenti ludici che non mancavano, e studio, che del resto , dato il clima culturale dell’epoca, concerneva spesso argomenti di indubbio riflesso politico. Venni spontaneamente cooptato in diverse iniziative del gruppo che cercava di radicarsi nelle scuole ( con un certo successo) e nelle fabbriche (con più fatica). M l’unico episodio che ricordo bene, anche se non lo saprei collocare con precisione nel tempo (72/73) fu quando Franco mi propose di accompagnarlo con la “mia” auto (in realtà la 1100 di mio padre) per affiggere dei manifesti davanti ad una scuola. La mattina presto ci recammo sul posto. Stavamo cominciando ad affiggere i manifesti quando venimmo sorpresi dai poliziotti della squadra politica che registrarono le mie generalità. Ne seguì una denuncia con relativo processo (poi amnistiato ). L’unica conseguenza per me fu che quando feci il servizio militare mi resi conto che ero schedato come sovversivo. Durante il servizio militare in Friuli (dall’ottobre 1973 al novembre 1974) presi contatto con esponenti locali della sinistra extraparlamentare e partecipai a cortei per la democratizzazione del servizio militare contro l’autoritarismo e il nazionalismo. In caserma , credo per la prima volta, mettemmo in pratica la lotta contro il nonnismo non solo trattando amichevolmente le reclute ma anche diffondendo idee progressiste e antigerarchiche, per un esercito gestito democraticamente.

Ma per far comprendere qualcosa di chi ero quando venni in contatto con il ’68 sondriese sento l’esigenza di partire da molto più lontano ricostruendo a grandi linee la mia condizione sociale e psicologica.

Mio padre era geometra del Comune di Milano. Nel 1924 era emigrato dal Polesine all’età di 14 anni. Il titolo di studio l’aveva conseguito studiando di sera e lavorando come bracciante in una ditta di scavi stradali. Mia madre e’ nata nel 1912 a Cislago in provincia di Varese in una famiglia di radicata fede cattolica (un suo fratello è stato prete). Prima di sposarsi ha lavorato nei campi, in una filanda e, dopo il suo trasferimento a Milano, come infermiera generica in una maternità. Dopo il matrimonio si è occupata della gestione famigliare. Mio padre ha aderito pienamente in gioventù all’ideologia dominante nel suo tempo, cioè al fascismo. Nel dopoguerra non ha mai del tutto rinnegato le sue convinzioni giovanili pur non dichiarandolo mai apertamente. Penso che mia madre lo abbia spostato gradualmente su posizioni democristiane. A dispetto di ciò non era assolutamente un padre autoritario, come del resto mia madre. Sono sempre stati una coppia molto unita ed affiatata e molto affettuosa sia nei miei confronti che verso mio fratello di 3 anni più grande di me.

Nel 1958 abitavamo nei pressi di viale Marche (ora quasi centrale ma all’epoca già periferia). La scuola media più comoda (grazie al tram 31) era la media Parini situata proprio di fianco e nello stesso edificio dell’omonimo Liceo Classico più centrale di Milano. Lì mi trovai immerso e travolto da una pratica d’insegnamento assolutamente autoritaria e autoreferenziale. Immessi per via del 31 nella scuola fino a poco tempo prima frequentata solo dai figli della migliore borghesia milanese, noi periferici eravamo ben distinguibili fin dal nostro aspetto fisico. I nostri compagni di classe abitanti in centro avevano i capelli sempre ben pettinati e curati e, soprattutto, avevano abiti su misura molto eleganti per non parlare delle scarpe. Io che ero fra i più benestanti dei periferici me la cavavo con abiti riadattati da quelli dismessi da mio fratello e indossavo sempre camicia e cravatta (quelle con l’elastico) ma molti altri del 31 segnalavano nel loro abbigliamento condizioni di vera povertà (molti erano figli di operai della Pirelli che aveva sede al capolinea del 31). Lì sperimentai, per usare un’espressione del 68, sulla mia pelle, cosa significa una scuola classista ed autoritaria. Lo strumento della selezione era principalmente il Latino. La scuola media prima di quella riformata nel 62 era largamente dominata da Lettere. In 5 giorni su 6 vi erano 3 o 4 ore di Lettere.

Ebbene l’insegnante occupava quasi tutte le sue ore “insegnando” Latino. Di fatto pretendeva che si imparasse arrangiandosi per proprio conto, traducendo sia dal Latino che dall’Italiano al Latino. Solo nell’ultima mezz’ora si occupava delle altre materie in pratica assegnando una quantità incredibile di compiti e di parti dei libri di testo da imparare. L’insegnante di matematica era forse peggio. La sua “didattica” consisteva nel fare eseguire espressioni algebriche o dimostrazioni di geometria a turno a tutti gli alunni. Alla minima esitazione passava al successivo. Il risultato era che solo 5 o 6 riuscivano a capire qualcosa. Gli altri dopo poco arrancavano. Io tra questi. Il risultato complessivo di queste pratiche fu che su 32 alunni i promossi a giugno furono 7 con 9 subito bocciati. Degli altri 16 altri 5 furono bocciati a settembre. Il primo anno me la cavai a settembre. L’anno successivo fui rimandato in 4 materie e i miei decisero di farmi ripetere l’anno. Sperimentai così anche la non invidiabile condizione del “ripetente”. Nel 1962 nonostante i miei pregressi non certo brillanti, i miei, considerando le mie attitudini (me l’ero sempre cavata in italiano e latino mentre ero scarso in matematica e, ancor più, in disegno) mi fecero iscrivere al Liceo Classico (al Carducci perché nel frattempo avevamo cambiato casa). L’esperienza delle medie aveva scavato in me un sentimento confuso di rabbia, ribellione ma anche insicurezza ed inadeguatezza. In quelle condizioni l’impatto con la durezza del ginnasio di quei tempi unito ad un’insegnante di lettere certo più professionale e valida ma altrettanto algida rispetto a quelle delle medie mi fecero passare un anno molto complesso: il risultato finale fu ancora una volta negativo ma l’incontro con alcuni compagni di classe un po’ strani ma molto stimolanti (uno di loro sarà uno dei leader dei così detti “situazionisti”) mi dette la consapevolezza che avrei potuto affrontare quegli studi. Nel frattempo cominciavo ad occuparmi di politica. Ricordo che partecipai ad un corteo di protesta contro la dittatura di Franco per l’uccisione con la garrota del dirigente comunista spagnolo Grimau. Incontrai in quell’anno anche un ragazzo di un’altra classe, Franco Corleone, molto più preparato di me in ambito politico che mi fece conoscere diversi testi di pensatori laici democratici (Gobetti, Rosselli, Lussu, Ernesto Rossi). Mi ero reso conto in quegli anni già per conto mio di quanto fosse dogmatica, oppressiva e castrante la religione cattolica. Quelle letture e la compagnia di quell’amico mi rafforzarono definitivamente in quella convinzione. Trascinato dal mio amico frequentai occasionalmente la sede di Milano del Partito Repubblicano all’epoca guidato da Ugo La Malfa. Arrivato al Liceo venni, finalmente, in contatto con insegnanti diversi da quelli che avevo avuto in precedenza. Due donne di grande personalità davano l’impronta al nostro corso (il corso F); L’insegnante di Italiano e Latino Bianca Fornari (moglie del noto psicanalista Franco Fornari, all’epoca le insegnanti sposate usavano il cognome dei mariti) e quella di Filosofia Enrica Bertoni. Erano entrambe decisamente laiche e di sinistra. Un altro insegnante che influi’ sulle mie convinzioni politiche fu l’insegnante di Storia dell’arte, Marco Onorato. In quegli anni in cui si era verificata l’unificazione tra Psi e Psdi, aveva aderito al Psiup. Diceva : “ i miei compagni socialisti mi dicono che mi sono spostato a sinistra, in realtà io son rimasto sulle mie posizioni mentre loro si sono spostati a destra”. All’interno del Liceo era evidente una contrapposizione tra questo tipo di insegnanti e quelli più tradizionali ancora in maggioranza. Nel liceo funzionava un’associazione studentesca molto vivace che pubblicava tra l’altro un giornalino, il Mr. Giosuè. Nel novembre 66 il giornalino commentando l’alluvione di Firenze pubblicò, con intento chiaramente ironico, su iniziativa di Franco Corleone, un articolo sull’argomento, di Giuseppe Garibaldi che cent’anni prima segnalava i problemi potenziali dell’Arno. Il preside ne impedì la pubblicazione. Vi fu un’animata assemblea studentesca. Il Collegio Docenti si spezzo’ con ovviamente la parte progressista dei docenti schierata con noi studenti. Analoga situazione si verificò quando l’associazione studentesca organizzò nell’aula magna uno spettacolo di Bertold Brecht. Sempre nel 66 ebbe un notevole impatto su noi studenti di Milano la vicenda ben nota della Zanzara. Sul giornale studentesco del liceo Parini, la Zanzara appunto, fu pubblicato il risultato di un’inchiesta sui comportamenti sessuali degli adolescenti. Una parte dei genitori sporse denuncia e si aprì un processo con imputati tre studenti,il preside e persino il tipografo. Ricordo che mi sentii molto coinvolto. Tra l’altro uno degli imputati era un mio ex compagno di classe ( Marco De Poli, decisamente il primo della classe, mentre io come già detto, arrancavo) . Su quell’avvenimento si delinearono con nettezza due schieramenti: da una parte tutti i progressisti, dall’altra il vecchiume democristiano e destrorso. In quegli anni gli avvenimenti internazionali divennero per me, come per diversi altri ragazzi , molto importanti nel mio sempre più netto spostamento a sinistra. Il processo di decolonizzazione in Africa mostrava chiaramente come gli Usa e la Nato difendessero gli interessi colonialisti contro i movimenti progressisti africani. Gli americani, sostituitosi ai francesi, per difendere il regime corrotto del governo filo occidentale del sud Vietnam scatenarono una terribile aggressione del Vietnam del Nord. Nei “civili” Stati Uniti gli Stati del sud praticavano una tremenda discriminazione razziale. Esponenti di posizioni politiche antirazziste venivano eliminati fisicamente, sia il non violento Martin Luther King sia il leader del movimento radicale delle Black Panthers, Malcom X . Sempre in quel decennio gli Usa cercarono di rovesciare militarmente la rivoluzione castrista a Cuba. In due viaggi estivi in Inghilterra scoprii la realtà di un mondo giovanile dai nuovi costumi molto più liberi di quelli molto compressi, imperanti ancora in Italia. Mi sentivo ormai schierato decisamente a sinistra ma mantenevo, per la mia precedente formazione, una certa diffidenza per il comunismo, anche ma non solo per come si era realizzato in Russia. Le mie letture mi mettevano in guardia rispetto allo sbocco autoritario e statalista della rivoluzione socialista anche se mi andavo convincendo che il sistema capitalistico non potesse essere riformato e fosse all’origine dei problemi interni alle singole nazioni (sfruttamento dei lavoratori ed enormi differenze fra le classi sociali) ma, soprattutto di quelli internazionali (impossibilità di applicare quel sistema per sviluppare i cosiddetti “paesi del terzo mondo” cioè la stragrande parte dell’umanità ).

Con tutto questo pregresso gli avvenimenti del 68 vennero da me vissuti come la possibilità di realizzare i miei ideali di giustizia sociale unita anche ad un piena libertà nei rapporti interpersonali. Credo di non sbagliare nell’affermare che una grande parte dei giovani protagonisti del 68 nelle sue molto varie articolazioni sentissero di poter essere una generazione in grado di trasformare il mondo. Ricordo uno slogan che mi sembrava giustissimo: “Cambia la società prima che la società cambi te” . Ho ricordi incerti sui vari episodi a cui presi parte nel 1968 a Milano ma ho un ricordo vivo di sentirmi parte di un evento storico travolgente e inarrestabile. Ricordo che in marzo dopo l’occupazione delle Università il movimento si allargo’ ai Licei. Dopo la contrastata occupazione del Liceo Parini (il preside che si era rifiutato di chiamare la polizia venne destituito dal Ministro) i rappresentanti dell’ASC (associazione studenti Carducci) chiesero di poter effettuare un’assemblea al posto delle lezioni. Al rifiuto del preside gli studenti, io fra i tanti, occuparono l’aula magna e si tenne un’affollatissima assemblea. Ben presto si decise l’occupazione della scuola in appoggio al Parini. Ricordo alcune richieste: maggiore coinvolgimento degli studenti nella scelta di come studiare, dare spazio allo studio seminariale, agibilità della scuola nei pomeriggi per attività decise degli studenti, ma anche abolizione dell’obbligo per le ragazze di indossare il famigerato grembiule nero. La sera ci si doveva organizzare per l’occupazione. Proposi al mio amico Franco di andare a casa mia, prelevare i sacchi a pelo mio e di mio fratello e di tornare a scuola per passarvi la notte. Mi presentai a casa mia nel tardo pomeriggio; spiegai a mia madre il nostro intendimento. Vista la nostra risolutezza si limitò a raccomandarci di non metterci nei guai, facendomi presente che avevo già perso 2 anni e non era il caso di perderne un altro. Arrivammo in via Beroldo con i nostri sacchi a pelo sottobraccio da via Deledda. Percorsi una quarantina di metri, vedemmo arrivare da viale Brianza non meno di 100 poliziotti con la tenuta da intervento (elmetto, manganello, ecc.).Senza bisogno di consultarci girammo i tacchi e dopo un quarto d’ora ci ripresentammo a casa mia con grande sollievo dei miei. Per tre giorni però ci rifiutammo di tornare in classe e proseguimmo l’assemblea. I tentativi di bloccare l’ingresso con un catenaccio vennero superati con un tronchesino. In uno di questi giorni si decise un corteo alla sede del Parini per impedirne lo sgombero. Io con molti miei compagni di classe vi partecipai convintamente . Eravamo appena stati fatti entrare dagli occupanti (per me occupare il Parini, proprio nello stesso edificio della mia scuola media era ancora più gratificante !) quando irruppe la polizia a manganellare tutti quelli che raggiungeva. Io riuscii a scappare senza danni ma il mio compagno di banco prese una manganellata sulla spalla che gli rimase indolenzita per diversi giorni. La cosa che mi colpì molto fu il coinvolgimento entusiastico di molti miei compagni che in precedenza mi erano parsi poco o nulla interessati alla politica. Ciò mi rafforzo’ nell’ idea di essere parte di un processo di trasformazione inarrestabile.

Si decise, dopo tre giorni di assemblea, di presentare fieramente le nostre richieste al preside tramite una delegazione di tre studenti. Io fui uno dei tre eletti dall’assemblea. Devo dire che quando fummo ricevuti più che sperare che le nostre richieste fossero accolte ero preoccupato di un’eventuale sospensione dalle lezioni che avrebbe potuto compromettere la mia ammissione agli esami di maturità. Il fatto che non furono presi provvedimenti nei nostri confronti mi fece pensare che, uniti, gli studenti potevano ribellarsi e vincere. Arrivò il maggio ma non ricordo un mio particolare impegno se non forse la partecipazione ad una manifestazione a favore degli studenti francesi. Certo seguivamo con grande partecipazione emotiva il maggio parigino.

Con il servizio militare e la laurea la mia vita subì inevitabilmente una svolta determinante.

Non potevo più far riferimento per l’attività politica ai compagni valtellinesi e dovetti decidermi a inserirmi nella realtà milanese. Seguendo il posizionamento politico dei mie compagni sondriesi presi contatto con Avanguardia Operaia (che già conoscevo tramite degli opuscoli che mi diede mio fratello che frequentava Fisica) di Milano che pensò di utilizzarmi per un breve periodo nella lotta per la casa (partecipai all’occupazione delle case popolari di viale Fulvio Testi). In quel periodo, in cui non avevo ancora trovato lavoro,per qualche settimana lavorai nell’impacchettamento del Quotidiano dei Lavoratori (lavoro che mi impegnava dalle 8 di sera alle 2 del mattino). Quando trovai lavoro come supplente in una scuola media di Magnago (a più di 40 chilometri da casa mia) venni collocato dai dirigenti milanesi di A.O. nel Comitato di Quartiere di Crescenzago (si cercava un radicamento territoriale con lotte sui vari problemi del proletariato di quel quartiere: calmieratore degli affitti, richiesta di ristrutturazioni di edifici degradati, mercatini alimentari contro il caro-vita particolarmente forte in quegli anni).

In questa attività politica strinsi anche rapporti di vera amicizia con diversi compagni con cui trascorsi anche molta parte del mio tempo libero (più che altro durante le vacanze scolastiche dato che nel resto dell’anno quasi tutte le sere erano impegnate in riunioni politiche). Seguii le vicende di A.O. , con i suoi contrasti interni e la sua confluenza in Democrazia Proletaria. Ricordo la forte delusione per i risultati delle elezioni del 1976, molto inferiori alle nostre aspettative. Ricordo la partecipazione , con molte riserve, alle iniziative legate alla grande manifestazione del settembre 77 a Bologna, dove incontrai per caso Carlo Ruina. Ricordo i problemi creati dal diffondersi della violenza politica negli ambienti legati all’Autonomia Operaia. Ricordo di aver partecipato alla manifestazione in cui dai settori dell’Autonomia si sparò verso la polizia uccidendo un poliziotto. Ne rimasi molto turbato. Non volevo confondermi con questa deriva militarista che trovavo assurda. Ancora più incomprensibile e folle mi parve il sorgere e il diffondersi del terrorismo di sinistra che ebbe il suo culmine con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Non solo per l’inaccettabilita’ morale di omicidi a freddo ma anche perché mi rendevo conto che ciò avrebbe significato per la sinistra anticapitalista a cui mi sentivo ancora di appartenere l’inizio della fine (almeno per un lungo periodo). Cercai ancora per qualche tempo di mantenere contatti con le strutture rimaste in piedi a livello territoriale di DP (il Comitato di Quartiere di Crescenzago era chiuso, per qualche tempo frequentai con un mio amico e compagno la sezione di Lambrate) ma tutto sembrava crollare. Mi sembrò impossibile più ancora che inutile discutere in continuazione senza alcun vero intervento sociale. Dopo quegli anni non feci più politica attiva anche se ovviamente non rinunciai alla mia visione del mondo formatasi in quegli anni . Durante la mia attività di insegnante e poi di preside non rinunciai mai ad un’ottica di sinistra. Rimasi attivo nell’attività sindacale nella Cgil (quasi sempre in minoranza). Forse il mio 68 non è mai finito.