Una stagione unica e irripetibile

 

Mi sono laureata nel ’68 in una Università del Sud, dove il vento della contestazione nascente mi aveva appena sfiorato. Le mie inquietudini esistenziali mi spingevano verso confini lontani dalla mia terra, dove pure avevo amicizie, amori e una vita intensa, ricca di divertimenti, di attività culturali, volontariato, tanto sole e tanto mare.

In Valtellina ho vissuto il post-’68.

L’ho vissuto come insegnante impegnata, all’interno della scuola, a sovvertire la struttura tradizionale della classe e ad impostare un insegnamento ispirato alle nuove idee pedagogiche e didattiche.

Ero affascinata dalla scuola francese degli Annales e, soprattutto, amavo la concezione della storia di Marc Bloch e la vastità della visione ancora cosi drammaticamente attuale di Fernand Braudel. Ero attirata dalla ricerca come antipedagogia di De Bartolomeis ed ero insofferente di una letteratura cronologica e tutta all’interno del contesto nazionale. E poi mi piaceva allargare lo sguardo oltre i muri dell’edificio scolastico, fare ricerca sul territorio. Questa “rivoluzione”, oltre al fatto di essere tra le fondatrici della Cgil scuola della provincia di Sondrio, mi creava molti problemi con i presidi. Come del resto succedeva anche alla mia cara amica, ancora molto importante per me, Grazia Sterlocchi. Per fortuna avevamo il sostegno incondizionato dei nostri studenti. Ebbi anche un preside, Piergiorgio Del Curto, che mi permise di fare insieme ai miei studenti delle esperienze straordinarie, come le mostre Come si legge un giornale e Album Valtellinese. Ricordo anche l’assessore Rossattini, democristiano, che a me “comunista” diede piena fiducia per la realizzazione dei miei progetti. Nella mia formazione politica, culturale e umana furono molto importanti Grazia Sterlocchi, Franco Monteforte e Giovanni Bettini. Gli stimoli e i contributi per la mia attività scolastica, che mi venivano dalle conversazioni con loro, furono determinanti. E indimenticabili. Sì, devo molto a loro. Conservo nel cuore il fervore di quegli anni vissuti in uno scambio serrato di contenuti, dentro una visione pluridisciplinare, oltre i confini asfittici dei programmi scolastici ministeriali. Un patrimonio che mi porto dentro, che alimenta la mia inesausta voglia di sapere e rende ancora oggi le mie giornate intense e piene di impegni.

Erano anni di grande fervore in valle. Abitavo con Grazia a Sondrio in via Bonfadini 1. Lei aveva una forte preparazione politica. C’erano sempre riunioni in casa. Ricordo i pomeriggi con Donata Giacomelli che leggeva un libro, autori Di Toro e Illuminati,1 di cui capivo poco o nulla. E mentre ascoltavo, cucinavo grandi pentole di minestrone. Un ruolo di cuoca che ricordo poco apprezzato. Scarso apprezzamento che però non impediva ai partecipanti di divorare il risultato! Ero presa da tutto quello che mi accadeva intorno, ma ero in bilico tra impegno politico e volontariato. Sognavo terre lontane, il Brasile, un sogno che poi ho realizzato. Durante l’Università, a Lecce, in circoli improvvisati, si discuteva molto: sviluppo e sottosviluppo erano un binomio al centro dei nostri dibattiti. E anche della nostra coscienza. Oscillavamo tra l’impegno politico nei paesi del capitalismo, ai quali imputavamo le cause del sottosviluppo, e il desiderio di andare oltre oceano a testimoniare fisicamente la nostra solidarietà, condividendo con le masse sofferenti ed emarginate del Terzo Mondo la fatica del vivere e progettando insieme a loro un comune riscatto. Non si parlava ancora di globalizzazione, ma le notizie si diffondevano e noi non eravamo indifferenti. Perché il ’68 è stato sì il tempo dei desideri, dei sogni, ma anche il tempo della consapevolezza e della responsabilità. Prima di arrivare a Sondrio durante il mio percorso universitario ero sempre a contatto con gruppi orientati a varcare l’oceano. Arrivata nel 1969 a Chiavenna per il mio primo anno di insegnamento, avevo conosciuto il gruppo Mato Grosso, attraverso Franca Scaramellini, e avevo incontrato spesso don Ugo De Censi. Trasferitami a Sondrio avevo continuato a frequentare questo gruppo, con il quale avevo progettato un viaggio in Mato Grosso.

Avevo già il biglietto aereo.

Ma intanto era stato bandito il concorso a cattedra al quale partecipai di malavoglia e che superai, anche se non in modo brillante. Grave crisi: partire o rimanere? La presenza di Grazia e le pressioni di chi mi voleva bene mi fecero decidere di restare. E così iniziò il mio percorso politico cui partecipai con passione crescente, una passione che non mi ha mai più abbandonata.

Un percorso fatto di studio e di approfondimento, di iniziative culturali e di pratica politica. In casa nostra, c’era un via vai di giovani. I vicini pensavano chissà a quali orge notturne! Invece si discuteva, si leggeva, si litigava. E naturalmente si mangiava. Furono anni veramente straordinari.

Erano i tempi della rivoluzione nella psichiatria di Franco Basaglia e ci fu un tentativo di condividere con i pazienti dell’ospedale psichiatrico di Sondrio quello straordinario cambio di paradigma. Esperienza forte. Intensa. Come intense erano le serate trascorse nello osterie dei paesini intorno a Sondrio, durante le quali Giovanni proiettava diapositive come spunto per discutere i problemi del territorio.

Il mio, il nostro ’68, ebbe come fulcro vitale e collettivo il Centro Rosselli, dove confluivano giovani di vario orientamento. In quello spazio si discuteva e si organizzavano conferenze di grande livello culturale e politico con la partecipazione di noti e importanti personaggi pubblici. Lì si sedimentava un patrimonio politico, frutto di una congiuntura che aveva visto gli studenti e gli operai uniti nel rivendicare giustizia sociale, libertà e pace, in un mondo attraversato da guerre e repressione come accadeva in quegli anni in Vietnam e in Cecoslovacchia. Le esperienze al Rosselli, vissute e condivise con tanti altri appartenenti alle varie anime della sinistra, rimangono il cuore e il fulcro dei nostri ricordi. Mettevano in scena la febbre che aveva colpito un’intera generazione, che voleva bruciare i ponti dietro se stessa e affrontare il futuro e conquistarlo!

Nel 1972 insieme ad un gruppo di compagni/e che frequentavano il Rosselli decisi di iscrivermi al PCI. La confluenza in questo grande partito fu per noi l’inizio di una stagione inedita di grande impegno. Il Partito allora era come un’Università: si studiava per essere in grado di intervenire nelle discussioni, si andava a volantinare nelle fabbriche, si partecipava alla campagne elettorali e a quelle per il referendum sul divorzio e sull’aborto. Grande fu l’impegno sulla scuola e sui decreti delegati. Era segretario della federazione Pavesi, che era molto felice della confluenza di tanti giovani, poi dal ’75 il ruolo di segretario venne preso da uno di noi, Giovanni Bettini. Quelli che seguirono furono anni più difficili, ma si può dire che negli anni ’70 la Valtellina ha vissuto una stagione inedita e pare irripetibile di vitalità politica, sociale e umana.

Abbiamo mantenuto le promesse? Abbiamo fallito? Non lo so…

A chi fa questa domanda posso solo rispondere così: è ora di non mollare e io non mollo! I valori che hanno animato il nostro ’68 sono più che mai attuali e in pericolo e, per difenderli, ci vuole unità.

1 Prima e dopo il Centrosinistra. Capitalismo e lotta di classe in Italia nell’attuale fase dell’imperialismo-1970