Ritorno a Mialli

 

Mialli è oggi un piccolo nucleo di baite, in parte ristrutturate, posto all’incrocio tra la Valmalenco e la val di Togno a circa 900 metri. Nel 1949, quando vi nacqui, era ai margini di un versante intensamente abitato e coltivato palmo per palmo da una comunità dispersa in una serie di contrade collegate da un reticolo di mulattiere e sentieri. Il numero degli abitanti era tale che c’erano ben due scuole elementari, una a Cucchi e l’altra a Mialli. L’abbandono della zona, consistente già negli anni ’50, fu poi accelerato nel 1960, quando gli abitanti vennero evacuati a seguito della minaccia rappresentata dalla frana di Spriana. Alcune contrade, come Cucchi dove viveva mio padre prima di sposarsi, sono oggi in rovina, altre, sotto l’assedio del bosco che incalza, sono frequentate saltuariamente. Mi chiamarono con il nome di un mio parente, Ottorino Flematti, morto durante la guerra per mano fascista. Durante la Resistenza l’area espresse infatti un forte sostegno al movimento partigiano. Stranamente, se si pensa all’orientamento politico del resto della valle, l’intero territorio conobbe nel primo dopoguerra un solido insediamento della sinistra, sia socialista che comunista. Il PCI era forte soprattutto a Cucchi, dove un anno si tenne addirittura una festa dell’Unità, promossa da un operaio del paese che lavorava a Seste S. Giovanni. Il “fattaccio” spinse il prete di Spriana, don Onorio, a saltare il paese nel suo giro a benedire le case. La tradizione di sinistra, legata all’emigrazione e al lavoro in galleria degli uomini della contrada, è testimoniata ancor oggi da una falce e martello e dall’acronimo PSI, visibili ancora oggi su due fontane. Gli altri nuclei Cao, Piazzo, Portola, Bedoglio erano, invece, più vicini al socialismo nenniano.

A seguito del dissesto idrogeologico, forse innescato dai lavori di scavo di una galleria nel ventre della montagna retrostante, ci trasferimmo a Sondrio, ma nel 1964 mio padre morì appena trentottenne a causa della silicosi e si aprì per me la via del collegio, prima a Viterbo e poi a Brescia, dove seguii un corso per congegnatore meccanico. D’estate stavo dietro alle mucche del nonno in val di Togno. Finito il collegio, cominciai a lavorare alla Carini di Sondrio, prima di finire a Malles a fare il soldato. Dopo altri lavori e il conseguimento del diploma di geometra alle serali, fui assunto dalla SIP nel ’72, dove fui attivista della CGIL e partecipai a tutte le iniziative sindacali, oltre che , naturalmente, ai 25 aprile, che rappresentavano allora vere e proprie manifestazioni antifasciste e non stanche commemorazioni rituali. Per tutti gli anni Settanta c’era una larga partecipazione popolare e di giovani, in particolare negli anni in cui più virulenta era l’azione eversiva della destra e dei neofascisti. Il corteo più grosso con duemila persone fu quello che attraversò le vie di Sondrio il 25 aprile del ’73, ma anche quello del ’74, nel pieno della campagna elettorale per il referendum sul divorzio, fu particolarmente partecipato.

Dal punto di vista del mio orientamento politico, a Mialli ero cresciuto in un ambiente comunista, ma poi a Sondrio divenni amico di socialisti e finii con l’aderire al PSI e alla corrente lombardiana, che era allora piuttosto attiva con esponenti locali prestigiosi come Franco Zappa, Alfredo Tavolaro, Athos Alesiano e altri. C’era anche un gruppo di giovani capeggiato da Piercarlo Stefanelli che in tandem con Ferruccio Scala, mio compagno di lavoro alla SIP, aveva preso in mano la redazione del Lavoratore Valtellinese e l’aveva rinnovato e rilanciato con lusinghieri risultati sul piano della battaglia politica e della diffusione. Dall’inizio degli anni ’60 il PSI era entrato nell’area di governo dove sarebbe rimasto fino a Tangentopoli, ma questa collocazione di centrosinistra non aveva trovato una traduzione nella politica locale, dove il monopolio DC reggeva e dove ripetuti tentativi per realizzare alleanze di centrosinistra non avevano prodotto risultati. In provincia di Sondrio il PSI era in prima fila nell’opposizione al sistema di potere DC con la sua soffocante rete clientelare sapientemente alimentata da un notabilato trafficone. Erano gli anni dei Valsecchi, dei Tarabini e dei Maganetti, solo per citare alcuni dei personaggi più significativi dello scudo crociato e il PSI giocava con decisione e abilità la carta del partito di opposizione, anche per conservare la posizione di principale partito della sinistra, posizione che il rafforzamento politico-elettorale del PCI cominciava già ad erodere, fino al sorpasso nelle politiche del ’76, con i comunisti quasi al 20 % e il PSI poco sopra il 15 %. Schierato a sostegno delle lotte sindacali del tempo e in prima fila nella denuncia delle manovre eversive, il Lavoratore Valtellinese conduceva un’efficace azione di denuncia, aprendo nuovi terreni di scontro come il contrasto ai fenomeni speculativi e mostrando attenzione per le problematiche ambientali e di assetto territoriale allora emergenti. Si era anche realizzata una collaborazione di fatto con il Movimento Studentesco che in provincia di Sondrio era forse l’organizzazione più forte della nuova sinistra e ampio spazio alle sue iniziative era dato sulle pagine del Lavoratore. Io stesso nutrivo simpatia per questi miei coetanei, anche perché i miei cugini, prima Marisa e poi Massimo e Dodo, ne erano attivisti e dirigenti. La mia storia con il PSI sarebbe poi finita nel 1984 a causa del referendum sulla scala mobile, con il quale Craxi inferse un altro colpo ad un movimento operaio e sindacale già in palese difficoltà. Più tardi negli anni Novanta sarei rientrato nella “casa madre” comunista tesserandomi a Rifondazione.

Nel frattempo avevo ristrutturato la casa materna a Mialli. Oggi da pensionato, appena posso, raggiungo la contrada e, come un condor su un’altura, guardo a valle e seguo il solco della Valmalenco fino a che si innesta in quello, più largo, della Valtellina. Sullo sfondo lo skyline delle Orobie. Non che sia un passatista, però una certa nostalgia per quegli anni e per le cose che abbiamo fatto ce l’ho. Tempi più duri, ma più sinceri con una socialità più ricca, pronta a sprigionarsi in compagnia con il mezzo che gira e i racconti che si inseguono. Il ’68 è stato per me anche questo.