Mi chiamavano “Bandiera rossa”

 

Una breve premessa

Mi chiamo Luciana B, sono nata a Postalesio il 31-05-’51 in una famiglia contadina e operaia, ultima di quattro figli. Mio padre era operaio, ma faceva anche il contadino dopo il lavoro, o il sabato e la domenica; mia madre faceva la contadina e la casalinga, ma più la contadina veramente. Non aveva un grande interesse per la casa, le ‘piaceva’ lavorare nei campi e nei prati; più che altro era una necessità.

Ho avuto un’educazione cattolica come era normale nei paesi, con Famiglia Cristiana che arrivava regolarmente tramite la parrocchia. Mia madre era la custode dell’osservanza cattolica nella famiglia e si preoccupava che io frequentassi regolarmente la messa e l’oratorio, allora gestito dalle suore. Mio padre era di idee socialiste e non andava molto in chiesa, ma questo era tollerato negli uomini, infatti loro la domenica entravano in chiesa regolarmente dopo la predica, con grande sdegno delle donne, del prete e di noi bambini che ci voltavamo a guardare. Aveva un amico ‘comunista’ che possedeva una televisione (noi non l’avevamo) e andava da lui a guardare il telegiornale dopo cena e spesso portava anche me sulle spalle.

Gli anni delle Magistrali

Nel 68 io facevo le Magistrali, il liceo dei poveri, come si diceva allora. Avevo dei professori molto tradizionali che non mi hanno trasmesso nessuno stimolo verso i cambiamenti che stavano avvenendo allora. C’erano però alcuni insegnanti dei quali sentivamo parlare: Fioravanti, Fassin, che suscitavano l’entusiasmo e l’ammirazione dei loro studenti, e un po’ li invidiavamo. Allora c’era Tavolaro come preside che era socialista. Ricordo bene la gita a Roma in quarta Magistrale, ci aveva accompagnato lui con altri insegnanti. Ci aveva portato a vedere il film ‘Metello’ e una mostra di Paul Klee, il mio incontro con l’arte astratta.

Mi ricordo di aver partecipato a un paio di assemblee di studenti che si tenevano in un locale in via dell’Angelo Custode, erano piuttosto affollate, si parlava dell’importanza dell’assemblea da richiedere come un nostro diritto,(a scuola non esisteva ancora) e si leggevano brani di ‘Lettera a una professoressa’ di Don Milani, si citava anche l’Autobiografia di Malcom X. Devo dire che allora non avevo ancora molti strumenti, in casa non c’erano libri al di fuori di quelli scolastici, ma avevo voglia di capire.

Ero molto amica di una mia compagna di scuola, Lucia di Morbegno,con lei presi la decisione di iscrivermi all’università, alla Cattolica dove c’era Magistero, l’unica facoltà che potevamo scegliere avendo fatto le Magistrali. Decidemmo di iscriverci a Lingue e Letterature Straniere, una facoltà che ci avrebbe stimolato a viaggiare. I miei accettarono la mia decisione, anche se avrebbero preferito che facessi la maestra. Fu di grande aiuto il presalario: 500.000 mila lire annue con l’esenzione dalle tasse, se in regola con gli esami. Questo ha permesso a molti come me, provenienti da famiglie operaie e contadine, di frequentare l’università.

Gli anni di Milano e l’università Cattolica

Uscire dalla Valtellina e dalla famiglia, andare a vivere a Milano, frequentare l’università, stringere nuove amicizie, discutere di politica e di quello che stava avvenendo sono stati fondamentali per la mia formazione. Da qui, la mia piena e convinta adesione alla sinistra e al movimento studentesco.

Questo mio cambiamento provocò un grande conflitto con mia madre, che non accettava il fatto che avessi smesso di andare in chiesa e di fare come facevano le altre ragazze del paese. La faceva quasi impazzire, mi rimproverava e piangeva. Era molto condizionata dal giudizio degli altri. Io stavo male e spesso rimanevo a Milano anche al fine settimana per evitare queste scene. Mio padre invece non diceva niente.

A Milano vivevo con Lucia e altre due compagne delle Magistrali in una vecchia casa al centro di Milano non lontano dall’università. Stavamo in università dal mattino alla sera, frequentando le lezioni, studiando, mangiando in mensa, socializzando, discutendo. Mi ricordo quando a volte alla sera, dopo la mensa, andavamo a casa di Edi Polinelli (abitava in una casa a ringhiera in via Camminadella, vicino all’università) e insieme cantavamo le canzoni di De André e Guccini.

Partecipavamo con entusiasmo alle assemblee, anche alla Statale, e a tutte le manifestazioni del movimento. Quelle per il divorzio e l’aborto, per Piazza Fontana, per l’uccisione di Roberto Franceschi (centomila in Piazza Duomo, che commozione!), quella in cui fu ucciso Giannino Zibecchi. Quelle del 25 aprile e del I° maggio con Piazza Duomo stracolma. Ricordo un’affollatissima assemblea alla Statale su Piazza Fontana con Camilla Cederna e Valpreda. Ma anche i concerti: un giovane Guccini, col fiasco di vino accanto, alla palazzina Liberty, gli Intillimani al Palalido, dopo il golpe in Cile e l’uccisione di Alliende, con molti studenti cileni che piangevano. Frequentavamo spesso anche i cinema d’essai come L’Orchidea e il Rubino all’inizio di via Torino e poi il teatro: l’Opera da tre soldi con Milva al Piccolo,L’anima buona di Sezuan, L’Ambleto con Carmelo Bene, Mistero Buffo alla Palazzina Liberty.

Le assemblee generali in Cattolica erano molto partecipate, venivano anche quelli del serale di economia e spesso anche gli studenti del vicino liceo Manzoni, molto politicizzati e determinati. A volte c’era anche Capanna. Fino al 73-74 erano egemonizzate dal Movimento Studentesco, vincevano le loro mozioni, poi a poco a poco ha preso il sopravvento Comunione e Liberazione, che verso la fine del 74, se ben ricordo, riusciva ad avere la maggioranza. Poi non sono più andata, era troppo triste veder passare le loro mozioni e assistere al loro giubilo.

Ricordo un’occupazione del rettorato con Capanna, la polizia fece una retata, ci fu un fuggi fuggi generale nei chiostri, un gruppo di studenti, compreso Capanna, furono caricati sul cellulare e portati in questura. Ne fece le spese anche un mio compagno di corso che indossava l’eskimo, ma non c’entrava niente con la contestazione. Si vide ripreso in una foto tra due poliziotti sul Corriere della Sera, con suo grande disappunto. Dopo la perdita di egemonia dell’MS, all’interno della Cattolica si era costituito un collettivo di Lotta Continua e anche un collettivo di donne che frequentavo saltuariamente. Altre nostre compagne valtellinesi, Rita e altre, frequentavano regolarmente il collettivo femminista di autocoscienza di via Col di Lana, con la Luisa Muraro.

Il collettivo di via Mercadante

Nel frattempo si era formato (non ricordo le date) un collettivo di studenti valtellinesi a Milano. Ne facevano parte Fulvio Zappa, Mario (?) Odone, Ennio Galanga, Brambilla e altri di cui non ricordo il nome, c’erano anche rappresentanti dell’Alta Valle. Ci si riuniva una volta alla settimana in casa di Odone in via Mercadante. Lo scopo era quello di tenere i collegamenti tra il movimento di Milano e le varie realtà di lotta della Valtellina. Noi quattro di via Gorani partecipavamo regolarmente. C’erano i compagni che avevano contatti con operai e rappresentanti di fabbrica del Fossati, della Nuovo Pignone, della Falk, della Carini e della Bertoni che ci tenevano aggiornati sulle lotte degli operai e degli scioperi in queste realtà.

Il lavoro in valle

Ci fu anche una ricaduta di tutto questo sulla nostra realtà valtellinese. Per un periodo abbastanza lungo ci riunivamo a casa di Silvana a Polaggia al sabato sera quando tornavamo da Milano. Eravamo tutte donne. All’inizio, soprattutto, riuscimmo a coinvolgere anche ragazze che non frequentavano l’università. Il nostro scopo era quello portare e di discutere le tematiche del divorzio, dell’aborto, del rapporto col nostro corpo, del rapporto uomo donna. Alcune riunioni erano delle sedute di autocoscienza seguendo l’esperienza di Rita in Col di Lana. Poi c’erano le letture individuali: Sartre e Simone De Beauvoir, Virginia Woolf, Luce Irigarai e altre, le discussioni, le riflessioni. Presto il gruppo si assottigliò, anche perché ci avevano appioppato la fama di irriducibili femministe e quindi da evitare da parte delle brave ragazze del paese.

Ricordo le campagne per il divorzio e per l’aborto con i volantinaggi davanti alle chiese di Postalesio e di Berbenno, nei bar, a discutere con uomini e donne. Eravamo molto sicure, infervorate e convincenti.

A livello locale seguivamo anche le iniziative del circolo Rosselli, che è sempre stato un punto di riferimento finché è durato.

Come gruppo di Berbenno abbiamo aderito al coordinamento Donne per il Consultorio di Sondrio, con Lori Fabbri, Anna Canova e altre. Ci siamo battute per avere il consultorio e il diritto di aborto, cercando di coinvolgere operatori del settore e più donne possibile. Ricordo a questo proposito delle assemblee di scala nei condomini di via Maffei. Allora c’era anche il dibattito se entrare o no nelle istituzioni; il compromesso con le istituzioni era avversato dalla parte del movimento femminista più radicale e separatista.

Ancora a livello locale ho fatto parte dell’amministrazione comunale di Postalesio, per due legislature negli anni ’70. Mi sono occupata dei rapporti con la scuola elementare a tempo pieno (allora esisteva ancora, dagli anni ’80 la scuola elementare è stata soppressa per l’esiguo numero di bambini) collaborando con due maestre molto brave come Beatrice Corona e Luisa Melazzini. Insieme abbiamo iniziato la costruzione di una piccola biblioteca popolare, con l’aiuto del comune e in base a una legge regionale che incentivava la fondazione di biblioteche popolari, anche nei piccoli centri. Fu un’esperienza interessante, perché creò partecipazione nel paese e un comitato di gestione portava avanti le iniziative: mostre, concerti, incontri, corsi di lingua, visione di film e altro.

Gli anni del riflusso

Dagli anni del riflusso, dalla fine degli anni ’70 inizio anni ’80, ho convogliato il mio impegno e le mie energie nell’insegnamento e nell’aggiornamento. Ho fatto parte del coordinamento insegnanti precari di Sondrio e sono sempre stata iscritta alla CGIL scuola. A scuola ho sempre cercato di trasmettere l’interesse nella materia che insegnavo con rigore,facendo leva sulla motivazione, l’impegno e sull’empatia con gli studenti, non limitandomi a trasmettere solo contenuti, ma anche valori culturali e allenamento alla riflessione critica e alla discussione. Devo dire che sono stata ripagata con l’apprezzamento e il rispetto dei miei studenti. Non ho mai fatto mistero delle mie posizioni di sinistra, né con i colleghi, né con gli alunni, quando era necessario. Un anno, da una classe, una quinta, di idee un po’ destrorse, mi sono ‘guadagnata’ l’appellativo di ‘bandiera rossa’. L’ho saputo da una collega. Divertente!!

Il mio giudizio sugli anni ’70 è positivo, sia a livello personale riguardante il mio percorso, sia a livello politico generale, per tutto quello che è stato ottenuto con le lotte di quel periodo, anche se purtroppo molte di queste conquiste sono andate perse.