Nel segno del Sessantotto

 

Si potrebbe scrivere una microstoria della mia famiglia, una specie di saggio di storia sociale, la saga dei Piuselli. La narrazione potrebbe partire con mia nonna Teresa, classe 1902, che ancora giovane parte da Sernio e “va a serva” a Maggianico nel Lecchese nella gran villa di una famiglia della ricca borghesia lombarda. Di lì si apre una vicenda umana complessa, che non è il caso di ripercorrere qui, se non per citare alcuni elementi di contesto che servirebbero a descrivere le contraddizioni della società liberale del tempo e di quella che sarebbe seguita post marcia su Roma. Questi elementi potrebbero costituire i titoli di altrettanti capitoli: le ristrettezze economiche delle classi subalterne vis a vis allo stile di vita dei benestanti ai piani superiori della scala sociale; la rigidità delle divisioni di classe e lo sfruttamento del lavoro; il carico di sofferenze correlato al nesso povertà-malattia, evidente ai tempi nel caso della tubercolosi; il desiderio di riscatto, l’adesione ai valori di uguaglianza e solidarietà del socialismo e l’aspettativa della palingenesi sociale in una rivoluzione a venire; l’opposizione al fascismo e ai meccanismi ricattatori, a cominciare dalle tessera al fascio, con i quali soprattutto durante la guerra il regime cercava di serrare le file di un’adesione ormai vacillante.

La parentesi lariana del ramo materno della mia famiglia stava volgendo al termine con l’avvicinarsi della fine della guerra e mia mamma Giacomina e gli altri della famiglia fecero ritorno a Sernio, un luogo più sicuro rispetto a Lecco che con le sue strutture industriali era oggetto di continui bombardamenti. Nel paese, intanto, mio padre, diciassettenne nel ’45, si dava da fare con quel minuto lavoro di sostegno ai partigiani che non viene ricordato nelle cronache militari della Resistenza, ma che fu fondamentale per la sua sopravvivenza e per la Liberazione. E come non ricordare il vile attacco fascista del 24 aprile del ’45…..i vigliacchi bruciarono 3 delle 4 frazioni di Sernio (Valchiosa, Contrada di Sotto e Piazza) gettando la gente fuori casa: ben 72 famiglie rimasero senza un tetto,col bestiame allo sbando. Mio padre raccontava sempre che quella mattina presto era andato in un bosco della famiglia a tagliare della legna con suo fratello di un anno più giovane, ad un certo punto avevano visto un gran fumo provenire dal paese ed erano corsi a casa in tempo per vederla bruciare,erano riusciti a salvare solo un paio di materassi…e nelle notti successive avevano dormito per terra nella adiacente chiesetta della Madonna della Neve… quel giorno morirono due persone, una donna che aveva voluto salvare dalla casa in fiamme un misero sacco di patate ed un uomo che la stava aiutando: rimasero sepolti sotto le macerie quando la casa crollò…. Anche mio padre proveniva da una famiglia di tradizioni socialiste ed è forse anche per questo che si conobbero e avviarono una relazione che si concluse con il matrimonio nel 1954. Nel ’56 nacque il primo figlio e poi nel ’58 io.

Con storie familiari di questo tipo alle spalle, non mi era certo difficile entrare in sintonia con la spinta del ’68, anno in cui avevo solo 10 anni, ma già cominciavo a prestare attenzione alle cose dei grandi. In casa si parlava di quello che stava succedendo allora in Italia, di eventi traumatici come la strage di piazza Fontana che ebbe larga risonanza, del fascismo che rialzava la cresta e della strategia della tensione. Del resto alcuni personaggi legati alla vicenda MAR, il movimento di estrema destra che firmò in Valtellina gli attentati ai treni del 1970, erano proprio della mia zona: Fumagalli Carlo e Gaetano Orlando di Lovero . A casa mia girava inoltre il Lavoratore Valtellinese e il settimanale della federazione provinciale dello PSI le sue battaglie antifasciste e per i diritti dei lavoratori le faceva. Quando nel ’72 cominciai a frequentare il liceo Piazzi di Sondrio avevo quindi le idee già chiare ed ero pronta ad fare la mia parte nel movimento. Si facevano le assemblee di classe e quelle generali, dove tenevano banco i più grandi.. Maurizio Gemmi di AO, Enea Sansi del Movimento Studentesco ed altri/e. C’erano i volantinaggi, la controinformazione con i dazebao, gli scioperi, i picchetti, le manifestazioni. Il ’72, il ’73 e il ’74 furono anni in cui il fermento nelle scuole fu grande e la partecipazione massiccia. C’era un accumulo di contraddizioni di carattere generale e di problematiche locali che fungevano da alimento per questo scontento studentesco. Ai temi della politica nazionale e della condizione studentesca, si aggiunse, per quanto riguarda il contesto provinciale, il nodo dei trasporti e, più in generale, delle strutture di servizio al diritto allo studio. Il forte incremento della popolazione studentesca e l’accentramento a Sondrio di una massa di alcune migliaia di studenti pendolari fecero di questo tema uno dei punti caldi dello scontro.

Già nell’autunno del ’72 con una lettera ai giornali dei pendolari dell’altavalle veniva segnalata la situazione di disagio causata dalla disorganizzazione del servizio, poi nell’autunno del ’73 ci furono le iniziative più forti: a fine novembre uno sciopero studentesco organizzato dal Comitato d’agitazione degli studenti medi, organismo di base egemonizzato da AO. Anche il MS faceva le sue iniziative, come quella a Sondrio del 1° dicembre con cortei dalle scuole al piazzale della Stazione, anche sul problema della mensa. Il clou fu raggiunto con il “blocco delle corriere” organizzato a Tirano da un comitato formato da studenti legati a AO con un seguito di denunce e processi. Le due organizzazioni, AO e MS, erano allora in forte competizione, era in ballo l’egemonia sul movimento degli studenti, il loro unico e prezioso punto di radicamento sociale. I rapporti in seguito migliorarono e la questione pendolari fu al centro dello sciopero del 30 gennaio ’74, indetto unitariamente per il 1° anniversario della morte di Franceschi, lo studente della Bocconi ucciso l’anno prima dalla polizia e, successivamente, di un’assemblea contro la repressione. Il ’74 fu anche l’anno del referendum sul divorzio e all’inizio di maggio ci fu un altro sciopero unitario degli studenti. Nell’autunno del ’74 ci fu una mobilitazione sul tema dei decreti delegati, la risposta “riformista” all’ondata di contestazione che aveva squassato il decrepito edificio della scuola italiana. Ricordo anche un episodio in zona Palazzo del governo dove ci furono tafferugli e mi beccai due manganellate, ma non riesco ad attribuire una data all’evento (forse era il ’76) né una spiegazione del motivo per il quale eravamo là. Il movimento era anche, direi soprattutto, il luogo per eccellenza della socializzazione giovanile e in questo giocava un ruolo centrale la musica in tutte le varianti che la grande creatività del periodo storico produceva. In occasione del concerto a Morbegno degli Area, la cui versione dell’Internazionale era la quintessenza dell’innovazione, ci muovemmo in massa da Sondrio e salimmo sul treno senza biglietto come si usava fare allora a Milano con il metro al termine delle grandi manifestazioni. Eravamo nel pieno della nostra esuberanza giovanile e lo sguardo benevolo del controllore ci accompagnò nella nostra festosa trasferta. Negli anni successivi continuò a permanere una certa effervescenza politica ed emersero nuove istanze come quelle rappresentate dal femminismo, che in provincia fu una scossa salutare anche per le culture del ’68. Ricordo di aver partecipato a diversi incontri di un gruppo di donne a Bormio, si faceva autocoscienza,si leggeva e commentava assieme il testo “sacro Noi e il nostro corpo, si ragionava sui nostri bisogni, sulla costrizione patriarcale, sulla spinta all’emancipazione legata allo studio, sulla necessità di essere protagoniste attive della nostra stessa liberazione….Il movimento era però meno vivace, cominciava a segnare il passo, anche se non si poteva certo parlare di una raggiunta normalizzazione. Questa fu, più o meno, la stessa situazione che trovai nel ’77 a Pavia quando mi iscrissi al 1° anno di Medicina. Il movimento del ’77 fu una fiammata effimera, poi l’anno successivo ci fu l’affaire Moro, giunse al capolinea la linea del compromesso storico e si avviò sul finire del decennio una nuova fase politica e sociale di restaurazione. Eppure qualche prezioso lascito del ’68 era rimasto e aveva lavorato sotto traccia anche nel campo dei miei studi: una messa in discussione dei paradigmi della tradizione medica, l’apertura all’innovazione, l’attenzione a nuove dimensioni della medicina, come quella del lavoro e quella legata alle tematiche ambientali, la nascita di Medicina Democratica.