L’amica ritrovata

 

Negli anni ’70 sia per motivi di lavoro sia per questioni di cuore, passai qualche tempo a Napoli e a Milano, dove ebbi modo di entrare in contatto con alcune realtà politiche di queste due grandi città, tutta un’altra dimensione rispetto alla mia piccola Chiavenna. Nel ’75 lavorai per alcuni mesi a Milano e avevo un’amicizia molto importante con una ragazza che conoscevo da anni perché veniva in villeggiatura a Chiavenna. Lei militava in Lotta Continua e con lei andavo a concerti, manifestazioni, spettacoli teatrali (ricordo la palazzina Liberty dove recitava il gruppo di Dario Fo) e, qualche volta, alla Libreria delle donne.

Nel ’76, avendo superato lo scritto del concorso magistrale, rientrai a Chiavenna, dove iniziai il mio lavoro di insegnante elementare e conobbi molte persone che come me erano attive nel sociale o condividevano con me interessi artistici e culturali, in particolare parecchi insegnanti provenienti da varie parti d’Italia. I miei contatti milanesi si erano nel frattempo fatti più sporadici, anche perché nelle ultime manifestazioni a cui avevo partecipato il clima si era fatto teso soprattutto per la presenza dell’Autonomia Operaia che spesso creava disordini e violenze. Erano situazioni che vivevo con grande disagio e dalle quali preferivo stare alla larga. Inoltre, avendo cominciato a lavorare con continuità nella scuola e avendo intessuto una relazione sentimentale con un ragazzo di Napoli, il tempo per andare a Milano non c’era proprio. Così con la mia amica ci eravamo perse di vista.

La mia amica milanese nel frattempo si era sposata con un operaio della Sit-Siemens che simpatizzava per Autonomia Operaia. Io l’avevo saputo da alcuni suoi compagni di fabbrica che frequentavano la Palù, quella specie di comune che era stata messa in piedi dai compagni di Chiavenna in una casa in campagna nel comune di Prata. Più tardi venni a sapere da amici comuni che il marito della mia amica era stato arrestato come fiancheggiatore di un gruppo che era uscito da Autonomia Operaia e che praticava la lotta armata. Non conoscevo le motivazioni del suo arresto e su questo anche la mia amica era stata piuttosto evasiva, né io ero interessata a curiosare in una vicenda, che mi aveva scosso e che era motivo di preoccupazione. In seguito venni a sapere che anche la mia amica era stata arrestata, ma nessuno fu in grado di spiegarmi le imputazioni né in quale carcere fosse rinchiusa. Naturalmente queste notizia mi lasciò molto addolorata, incredula e smarrita perché non mi capacitavo di scelte così estreme da parte sua. Forse era stata tirata dentro per qualcosa di poco rilevante, perché erano tempi in cui bastava un nonnulla per farsi anni di carcere. In quegli anni seguivo con attenzione le vicende di queste organizzazioni cercando di capire le ragioni politiche e sociali che avevano spinto molti compagni a farne parte. Ne parlai sia con gli amici di Chiavenna sia con quelli conosciuti a Napoli, perché uno di loro era entrato in clandestinità e poi si era rifugiato a Parigi nello stupore di tutti quelli che lo conoscevano.

Per circa 5 anni non ebbi più notizie della mia amica, in realtà non feci nessun passo per sapere che fine avesse fatto, anche se cercavo di capire come potessero nascere forme di estremismo politico di questo genere leggendo libri, articoli, testimonianze sia dei protagonisti sia delle tante vittime di questa assurda lotta armata.

Un incontro fortuito con sua madre mi consentì di riaprire questo importante rapporto di amicizia che era iniziato negli anni ’60. Aveva pagato duramente queste sue scelte: era uscita dopo aver scontato circa quattro anni di carcere, solo perché accusata di essere una simpatizzante della lotta armata. Mi raccontò la sua esperienza in carcere: era stata dura, ma aveva trovato la forza per riprendere gli studi e aveva conseguito la maturità classica. Una volta uscita poté fare un corso e da allora ha sempre lavorato negli ospedali ed è ormai vicina alla pensione..

A mio parere queste esperienze così tormentate e così cariche di eventi luttuose dovrebbero essere rivisitate anche perché sono nate partendo da una base comune: abbiamo vissuto lo stesso periodo, condividendo lo stesso entusiasmo e la stessa fiducia di poter cambiare e migliorare il mondo, anche se poi, nel nostro caso, abbiamo fatto scelte completamente diverse dalle loro.

Personalmente anche dopo la fine degli anni ’70, non ho mai smesso di impegnarmi nel sociale e nel pubblico privilegiando però l’ambito della scuola dove sono stata insegnante, ma anche rappresentante dei genitori e delegata sindacale dei miei colleghi,

In gioventù ero stata iscritta ad Avanguardia Operaia, ma, dopo di allora, non ho più preso una tessera perché sono diventata piuttosto refrattaria alle indicazioni di partito o di gruppo.

Adesso che sono in pensione partecipo ad attività di volontariato nel sociale e nel culturale. Leggo, viaggio, vado al cinema. a teatro sia da sola sia in gruppo. Queste mie scelte sono comunque il frutto di quel percorso cominciato negli anni ’70. Come allora, anche oggi, preferisco i fatti alle discussioni teoriche. Mi piace confrontarmi con altre realtà, pur rimanendo di sinistra, orientamento che ho fatto mio fin dai 16 anni. La mia famiglia era di tutt’altro indirizzo.

Sono nata nel ’56, quarta di otto figli. Mio padre era manovale nell’edilizia e poi operaio, mia madre casalinga con frequenti problemi di salute. Erano entrambi di fede democristiana e noi figli abbiamo ricevuto un’educazione piuttosto tradizionale: il papà severo e la mamma buona e devota ma non bigotta. Avevano frequentato solo le elementari, ma nel poco tempo libero amavano leggere e a casa mia non sono mai mancati giornali e riviste e qualche libro. Da bambina ero molto vivace e socievole e nonostante dovessi aiutare in casa coglievo tutte le occasioni per uscire con le amiche e andare all’oratorio. La mia fortuna è stata quella di andare bene a scuola e di avere incontrato degli insegnanti che mi hanno stimolato a leggere, a impegnarmi per gli altri e a continuare gli studi, nonostante il parere contrario di mio padre che avrebbe preferito che lavorassi subito come gli altri miei fratelli grandi. Ho potuto studiare grazie a borse di studio e al lavoro che facevo d’estate.