Per i suoi figli voleva un’educazione migliore

 

L’ occupazione delle Magistrali

Nel 68 avevo 15 anni ed ero in prima superiore, abbiamo incominciato a capire che cosa stava succedendo due o tre anni dopo, con le prime assemblee d’istituto a tematiche politiche, le prime manifestazioni di piazza degli studenti, la lettura dei giornali e l’occupazione dell’Istituto Magistrale.
L’occupazione si svolgeva con assemblee in palestra, alle quali partecipavano anche alcuni insegnanti, che si capiva erano dalla parte degli studenti.

Il preside era Tavolaro, uomo pacato ed equilibrato, cercava di stare a fianco, di capire, non ci osteggiava. Ma noi sapevamo che lui rischiava provvedimenti disciplinari perché l’occupazione era illegale. C’erano lezioni autogestite con la presenza degli insegnanti o no. L’occupazione c’era anche di notte, ma io non sono mai rimasta. Erano soprattutto i maschi che occupavano e facevano gli interventi, i leader venivano dal corso A, erano quelli più informati. Ricordo Zanesi, Quagelli, Tempra o Tempera. Nelle manifestazioni eravamo controllati dalla polizia in borghese e da altri informatori. Noi che venivamo da un paese piccolo abbiamo capito che era necessario istruirsi e questo è il motivo che ci ha spinto a continuare gli studi.

Gli anni dell’università a Milano

Gli anni trascorsi a Milano all’università, la Cattolica, sono stati fondamentali. Il clima politico e culturale di quegli anni era molto ricco e stimolante. Partecipavamo attivamente alle manifestazioni, con entusiasmo ma anche con un po’ di paura: a un certo punto succedevano sempre scontri. Ricordo una volta in piazza Duomo, portavo una bandiera,( non ricordo che bandiera fosse) ho dovuto abbandonarla perchè ci rincorreva la polizia. Il culmine della tensione l’ho percepito durante la manifestazione dopo la strage di Brescia, maggio 1974, c’era un clima pesante e la consapevolezza che era successo una cosa molto grave e che manifestare voleva dire esporsi a un rischio serio.

Un’esperienza significativa è stata la partecipazione alle riunioni in Via Col di Lana del movimento femminista. Ci rendevamo conto che la questione femminile era più importante e ci riguardava più da vicino. Durante le riunioni si faceva autocoscienza: si raccontava del proprio vissuto nel rapporto con il partner e di sessualità. C’era la consapevolezza di capire che eravamo quelle che eravamo perché avevamo avuto una certa educazione, appunto il ruolo dell’educazione nella nostra formazione di vita e di donne. C’erano anche momenti di silenzio, molte lavoravano a maglia. All’inizio pensavamo di aver sbagliato riunione. Qui ci fu anche l’incontro con le prime coppie lesbiche. Le figure più importanti erano Luisa Muraro e Lea Melandri. Noi ci sentivamo molto poco consapevoli rispetto a loro. Libro fondamentale di questo periodo è stato Il secondo sesso di Simone de Beauvoire. Leggevamo molto, molti altri testi femministi che conservo ancora.

Io vivevo con altre tre compagne, insieme condividevamo idee, letture ed esperienze e la facoltà di lingue. Era una casa aperta , accoglievamo chi aveva bisogno. Anche il mio compagno, mio attuale marito, faceva l’università, ingegneria, ma facevamo vite abbastanza separate a Milano. Al fine settimana tornavamo nelle nostre rispettive famiglie a Polaggia.

Il fatto che studiavamo lingue, per noi è stato fondamentale, perché siamo andate all’estero e siamo venute a contatto con realtà diverse. E soprattutto viaggiare anche da sole senza problemi e senza paura.

Eravamo piene di speranza di cambiare il mondo, sicure che avremmo trovato un lavoro e che saremmo state indipendenti, eravamo ottimiste, solidali e volevamo giustizia sociale.

Il ritorno in valle e i rapporti con la famiglia

Le ripercussioni nel paese ci furono: facevamo delle riunioni il sabato sera con altre compagne di università e altre ragazze del paese e portavamo le tematiche in discussione in quegli anni. Divorzio, aborto, sessualità e rapporti con i maschi e abbiamo aiutato alcune donne in difficoltà. Abbiamo anche partecipato al gruppo delle donne che si battevano per il consultorio a Sondrio.

Mio padre, emigrato in Svizzera dal 47 fino all’84, lavorò sempre nella stessa ditta nel settore ferroviario ricoprendo la posizione di capomastro. Conseguì il diploma di quinta elementare durante il servizio militare. Gli è sempre pesata molto la sua poca istruzione. Era molto rigoroso, leggeva sempre il giornale, per i suoi figli voleva un’educazione migliore.

Mia madre era più contadina che casalinga ( anzi direi che a quei tempi non esisteva la casalinga), era allegra e ottimista e grande lavoratrice. Aveva fatto la quinta elementare, era brava e aveva una grande memoria. Recitava e cantava molto bene, tanto che una volta una suonatrice d’arpa le consigliò di intraprendere la carriera artistica. Era generosa e accogliente.

Il papà era socialista e antifascista, ma aveva un atteggiamento critico rispetto ai movimenti di piazza e alle forme più estreme del dissenso. Facevamo delle belle discussioni. La sua provenienza da una famiglia povera, l’esperienza della guerra (Albania e Monte Bianco) e quella di emigrante lo portavano a non accettare quei movimenti di completa rottura con la società. Aveva una posizione riformista.

Mia madre ha sempre dato a noi tre figlie molta libertà: non era critica nei confronti dei nostri atteggiamenti e delle nostre idee, lei aveva avuto un rapporto conflittuale con sua madre e non lo ha avuto con le sue figlie. Aveva molta fiducia in noi e nei nostri compagni e mariti, era molto positiva. Sul divorzio e sull’aborto entrambi hanno votato a favore.

Per quanto riguarda la mia vita privata, mi sono sposata civilmente e ho avuto due figli che non ho battezzato, anche se poi hanno scelto loro di fare la cresima e la comunione per non essere diversi dagli altri. Ho sempre mantenuto buoni rapporti con tutta la famiglia, usando le mie doti di mediatrice.

Particolarità del 68 e oltre erano le grandi discussioni di politica fino a tarda notte, anche in paese, non credo che ce ne siano più state dopo.

Il mio giudizio su quel periodo è molto positivo per tutto quello che ho fatto e pensato.