Peste. Il flagello di Dio fra letteratura e scienza

Marco Geddes da Filicaia, Costanza Geddes da Filicaia

Il libro che presentiamo è un’opera unica nel panorama editoriale del nostro paese. La sua specificità è data, innanzitutto, dalla impostazione della trattazione del “flagello di Dio” in due distinti e fortemente correlati percorsi: il primo è quello raccontato della puntuale e affascinante ricostruzione clinica, medica, epidemiologica del micidiale morbo; il secondo è quello tracciato dalla lunga e documentata narrazione storico-letteraria sull’’incombere del flagello sulle terre dell’Occidente. Questa ricostruzione storico-letteraria occupa la parte maggiore del volume e si snoda nella presentazione, sapientemente contestualizzata, di testimonianze cronachistiche, di pagine di memorialistica e di illuminanti pagine di alta letteratura. Ne risulta un lavoro di grande impegno e mole (630 pagine), un rigoroso trattato che offre un quadro d’insieme disposto con grande competenza sia nell’approccio scientifico sia in quello relativo alle testimonianze coeve agli eventi pestilenziali raccontati.

E’ un’opera che si colloca pienamente in quel filone della ricerca interdisciplinare che lavora sulle tematiche afferenti la presenza e l’incidenza della malattia (e della sofferenza) nel tessuto della storia. Enrico Ghidetti, a cui si deve la Presentazione del volume, ha opportunamente richiamato le seguenti parole di Jacques Le Goff: “La malattia appartiene non soltanto alla storia visibile dei progressi scientifici e tecnologici ma anche a quelle, più profonde, delle pratiche e dei saperi legati alle strutture sociali, alle istituzioni, all’immaginario e alle mentalità… E’ una storia della sofferenza. Questa storia della malattia conosce la febbre congiunturale delle epidemie ma anche l’onda strutturale delle endemie. E’ una storia drammatica che di epoca in epoca disegna il quadro di una malattia emblematica che unisce l’orrore dei sintomi alle angosce di un senso di colpa individuale e collettivo”.

La peste: la malattia “emblematica”. E’ proprio così. La peste è stata un formidabile e potentissimo stimolo creativo per l’immaginario letterario e figurativo. Sono numerosi i capolavori della letteratura mondiale che prendono spunto o comunque ricorrono a questo focolaio di morte e dolore per allestire la loro macchina narrativa. Ma la pestilenza ha animato anche le drammatiche rappresentazioni sceniche distese sulle grandi tele e sulle pale d’altare. Il libro di cui ci occupiamo offre al lettore una accuratissima mappatura delle più importanti pagine sulla peste che, a cavallo tra ricostruzione storica, testimonianza personale e invenzione e letteraria, la tradizione occidentale ci ha trasmesso.

Manca, tuttavia, in questo ampio trattato –ma non poteva che essere così- il contributo, di straordinaria potenza evocativa e simbolica, prodotto dalla genialità propria delle arti figurative. E’ vero, ci sono nel volume numerose tavole che intercalano i singoli capitoli   ma tutto questo dà solo uno sbiadito rimando al fulgore dei “pittori della peste”, quei pittori del nostro cinquecento-seicento di cui si sono occupati molti studiosi del calibro di Roberto Longhi, Giovanni Testori, Mina Gregori. Stiamo pensando innanzitutto alla pittura lombarda del seicento e quindi a Cerano, Tanzio da Varallo, Morazzone e tanti altri che hanno rappresentato le due pestilenze che hanno afflitto Milano, quella del 1576 e quella del 1630-31. Ma pensiamo anche a Tintoretto e alla sua tela su San Rocco, il santo taumaturgo degli appestati o a Luca Giordano e alla peste di Napoli del 1656.

Vogliamo ricordare anche ad un’altra dimensione della dramma della pestilenza: ci riferiamo alla manifestazione, alla espressione personale o istituzionale della pietà. La storia della peste è sempre anche una storia della pietà, del soccorso all’afflitto, della carità individuale e collettiva, del generoso donarsi sino al completo sacrificio di sé. Come non ricordare, anche su questo, le pagine manzoniane?

Non possiamo, infine, concludere questa riflessione introduttiva ad un importante libro sulla peste senza un accenno ad un’altra questione che sempre urge in noi a fronte della perversa e maligna diffusione del contagio e al precipitare di tanti nell’insondabile e oscuro regno della morte. Ci riferiamo alla questione del male che implacabile e crudele come una forza cieca e malvagia aggredisce il mondo e ci colpisce. E quindi ci riferiamo anche a Dio.  Il titolo stesso del volume lo cita e si richiama esplicitamente al divino. Questo riandare con la mente a Dio non solo è giustificato dalle millenaria credenza che la peste sia una punizione, un castigo, una vendetta di Dio, come peraltro è detto anche nelle scritture vetero-testamentarie. Ma è dovuto anche dal continuo ripresentarsi di essa nelle forme di una forza invincibile ed enigmatica che ci fa pensare alla peste come a qualcosa “che viene al mondo da un altro mondo” (Sergio Givone). E allora ecco che si ripropone l’antica e mai risolta questione: si deus unde malum?

 

Struttura del libro.

Gli autori.

Marco Geddes da Filicaia: medico, oncologo, epidemiologo, storico delle scienze mediche, ha svolto incarichi direttivi presso l’Istituto dei tumori di Genova e nella struttura sanitaria della Regione toscana. E’ stato membro di importanti commissioni e Vicepresidente del Consiglio Superiore di Sanità. E’ autore di numerose pubblicazioni e ha svolto attività di docenza presso la Sapienza e l’Università di Firenze.

Costanza Geddes da Filicaia: figlia di Marco. Studiosa di italianistica, è docente di letteratura italiana presso l’Università di Macerata.

Enrico Ghidetti: è corresponsabile insieme a Marco Geddes delle pubblicazioni della Biblioteca di Medicina e Storia. Ha scritto la “Prefazione” al libro, intitolata “La grande scopa”. Docente di letteratura italiana all’Università di Firenze è un importante studioso di Dante.

La pubblicazione del volume è stata patrocinata dal “Centro di Documentazione per la storia dell’assistenza e della sanità fiorentina”.

L’opera è stata pubblicata nel luglio 2015 con il contributo della Regione Toscana.

La logica compositiva del trattato esplicita la presenza del doppio percorso di lettura –a cui abbiamo già accennato- del fenomeno morboso. Nella “Premessa”, firmata congiuntamente dai due autori, viene presentata e argomentata in modo ampio la logica del doppio percorso e si dà conto anche della scelta dei brani e degli autori antologizzati nella parte, la seconda, dedicata alla diffusione della pestilenza nel mondo classico e nelle successive tre epoche della pandemia di peste che hanno colpito l’Europa e l’America.  Il criterio di selezione di brani e autori è quello della “letterarietà” ossia sono state selezionate, nella immensa letteratura esistente sulla peste, quelle opere che non fossero scritti di esclusivo carattere medico-storico ma che possedessero “significative tracce di letterarietà”. Nella “Premessa”, inoltre, viene espresso un affettuoso e grato riconoscimento verso Carlo Maria Cipolla che di questo tipo di studi è stato l’iniziatore ed il maestro.

La prima parte del trattato che segue alla “Premessa” è costituita da due importanti capitoli, rispettivamente intitolati: “Peste, letteratura e società”, il primo, e “La peste: convinzioni popolari, comportamenti collettivi e conoscenze scientifiche attraverso i secoli”, il secondo. Soprattutto questo secondo capitolo è una lettura di grande importanza e coinvolgimento. Sono una cinquantina di pagine in cui Marco Geddes offre al lettore la ricostruzione rigorosa, ma sempre accessibile, alla avvincente vicenda della scoperta del batterio Yersinia pestis, responsabile della patologia.

La seconda parte del volume, curata da Costanza Geddes, ha una disposizione storica tradizionale in quanto presenta il ricorrente ripresentarsi del contagio secondo una successione temporale che dal mondo greco-romano perviene sino al XX secolo. Le tre pandemie di peste, che vengono dopo l’età classica, individuate dagli autori sono: la prima pandemia o peste di Giustiniano (541-750 d.c.), la seconda (1347-1844), la terza (1894-1959).

 La novità di questa seconda, ampia sezione (circa 400 pagine) è l’apparato di presentazione dei brani degli autori (24) portati come testimoni degli eventi storici richiamati. Si parte da Tucidide e Lucrezio per la peste classica e si prosegue via via con Procopio di Cesarea e Paolo Diacono per la peste dell’età giustinianea per andare poi all’assedio di Caffa con la narrazione di G. De Mussis , alla Firenze del Trecento con brani di G. Boccaccio e di M. di Coppo Stefani e alla Morte Nera nelle Isole Britanniche con il racconto di J. Hatcher. Si prosegue poi con la peste del Quattrocento in Italia e con quella del Seicento a Milano con brani di F. Borromeo, G. Ripamonti, A. Manzoni.  G. Baldinucci è l’autore-testimone della peste di Firenze del 1630-33 mentre le epidemie di peste a Londra nel Seicento sono raccontate da T. Dekker, S. Perys e D. Defoe. Altri autori testimoniano gli episodi di pandemia verificatesi a Messina nel 1743, a Mosca nel 1771, a Noja nel 1815, a Tunisi nel 1818-20. Infine la peste di San Francisco (1900-1904) è testimoniata dalla penna di una grande giornalista americana, Marilyn Chase. Ciascun episodio di pestilenza è inquadrato in uno schema molto rigoroso: viene proposto un inquadramento storico che riporta anche la somma di eventi esterni che hanno preparato il terreno per il radicamento del morbo. Vengono indicati dati sufficientemente dettagliati di storia generale e di cronaca locale che precedono e accompagnano il dispiegarsi degli effetti patologici del contagio. Seguono poi i brani antologizzati disposti secondo un ordine che tiene conto delle caratteristiche del brano e dell’autore. Terminata la seconda parte, il trattato presenta una approfondita sezione di schede bio-bibliografica per ciascuno degli autori riportati sopra. Anche questa parte è un ulteriore, utile strumento di conoscenza di una storia terribilmente complessa nel suo groviglio di vita e morte, di disperazione, di sofferenza, di pena senza conforto.

In conclusione vogliamo tornare su quella cinquantina di pagine, che abbiamo già segnalato, scritte da Marco Geddes sulle conoscenze scientifiche relative alla peste. Esse sono un breve saggio di perfetta sintesi tra informazione scientifica, contestualizzazione storica, concatenazione di eventi e di uomini. Il tutto raccontato con una felicissima ed incalzante tensione narrativa che l’autore sa imprimere al suo racconto. L’impianto del capitolo è rigoroso e segue uno schema epidemiologico che prevede tutti i passaggi necessari per mettere in luce il complesso processo di razionalità sperimentale sotteso alla progressiva scoperta del batterio e del vettore dell’agente patogeno dal ratto nero all’uomo. Il breve ma illuminante saggio si conclude con una riflessione dell’autore, a metà tra la filosofia e l’antropologia. Perché la peste, si chiede l’autore, è “diventata sinonimo e metafora di un evento grave e incontrollabile, cosicché di fronte ad una epidemia pericolosa la si definisce nuova peste? In fin dei conti- prosegue Geddes- l’umanità ha conosciuto altre malattie: la malaria, la sifilide il vaiolo, il colera, la tubercolosi e alcune di queste hanno avuto un effetto devastante, particolarmente il vaiolo, nelle popolazioni vergini, quali quelle del continente americano”. Tuttavia essa “è rimasta nell’immaginario quale archetipo di distruzione. A differenza di altre malattie infettive, la peste arriva da lontano, come una cometa che, portando il fuoco, distrugge la città, o come una freccia scagliata dalla divinità: nelle pesti bibliche dal Signore, nelle pesti classiche da Apollo che fa cadere sugli Achei una pioggia di frecce. Non a caso-conclude Geddes- il primo santo protettore della peste sarà San Sebastiano, trafitto dalle frecce”.

 

Michele Del Vecchio