Dall’altra parte della barricata

 

Ho avuto non uno ma due “sessantotto” o meglio ho vissuto un Sessantotto con due facce: la prima è quella di Como dove sono nata e cresciuta, la seconda quella di Morbegno dove tornavo per le vacanze, perché mia mamma era oriunda di Tartano, da dove la famiglia della nonna era emigrata a seguito dell’ondata migratoria che nel dopoguerra e negli anni ’50 interessò la montagna valtellinese.

Ciò che cambiò il corso della vita di mia nonna fu l’arrivo dei partigiani, alcuni dei quali provenienti dalla pianura, che significò per lei l’entrare in contatto con un mondo altro rispetto al conosciuto, il sentir parlare di spazi pianeggianti che consentivano di alleggerire la fatica dell’attività agro-pastorale in territorio montano.

Molti anni dopo venni a conoscenza che la nonna aveva partecipato a pieno titolo alla Resistenza, sia ospitando alcuni partigiani che nascondendo carichi di armi in casa. Anche mio zio Sandro, appena diciottenne e con il nome di battaglia di Diavolo, entrò a far parte della Brigata Garibaldi. Rimase un comunista convinto per il resto della sua vita.

L’episodio più traumatico vissuto dalla famiglia di mia nonna fu il seguente: una colonna di fascisti arrivò a colpo sicuro a casa loro chiedendo la consegna di mio zio – nel frattempo già scappato – e delle armi – opportunamente nascoste altrove. Ovviamente mia nonna rispose di non sapere nulla, né del figlio né delle armi. A quel punto i fascisti minacciarono di impiccarla davanti ai tre figli piccoli, tra cui mia mamma che all’epoca aveva otto/nove anni. Secondo il racconto fattomi, avevano già preparato il cappio quando – forse a causa del pianto terrorizzato dei bambini? – improvvisamente cambiarono idea e si allontanarono senza farle alcun male, quantomeno fisico. L’odio di mia mamma nei riguardi dei fascisti in genere rimase viscerale. Non parlò mai delle sue opinioni politiche ma, nel periodo del ’68, ricamò senza battere ciglio – o proferir parola – una falce e martello su un paio di jeans del genero.

Tornando a me, il ’68 diede un’impronta fondamentale alla mia identità e influì in maniera decisiva sul mio percorso di vita.

Frequentavo la seconda media in un collegio di suore e anche il mese di agosto lo trascorsi in collegio in quanto le mie insegnanti – ovviamente suore – ritennero di rimandarmi a settembre in educazione fisica, educazione artistica e italiano, materia che tra l’altro mi piaceva.

I miei genitori decisero quindi di farmi passare anche l’estate in collegio, a titolo di punizione.

Una sera di quel mese di agosto, del tutto inaspettatamente, le suore ci riunirono nella sala televisione, mai utilizzata in precedenza.

Ricordo immagini di carri armati, mentre le suore sussurravano angosciate che si trattava del Comunismo, il Male Assoluto. Il tutto ovviamente si concluse con preghiere supplementari, finalizzate a salvare noi o l’umanità intera dalla malvagità del predetto Comunismo.

Non capii assolutamente niente; soltanto qualche anno dopo realizzai che si era trattato dell’invasione sovietica a Praga, nella notte tra il 20 e il 21 agosto.

Qualcosa tuttavia, a partire da quella sera, cominciò a germinare in me, di pancia: quel Comunismo – di qualunque cosa si trattasse, dato che il termine mi era ignoto – era dall’altra parte della barricata rispetto alle suore, quindi quella sarebbe stata “la mia parte”.

In seguito ci fu il passaggio alle Magistrali, la maturazione di una coscienza politica, la partecipazione al movimento delle donne, insomma l’inserimento nel corso tumultuoso di quegli anni, ma ciò avvenne a Como e quindi non riveste interesse alcuno in questo testo focalizzato sul 68 a Sondrio.

Nel 1972 passai l’estate a Tartano e qui entrai in contatto con il Gruppo Operai e Studenti di Morbegno.

Ricordo che avevano una sede in centro Morbegno, in un locale di un vecchio immobile.

Ciò che più mi colpì fu appunto questa unione tra studenti e operai; era chiaro che erano un gruppo coeso e legato anche da amicizia al di fuori dell’ambito politico.

L’ambiente era totalmente maschile; il movimento delle donne era assente.

Nel 1973 ritornai per qualche mese a Morbegno e ricordo un 25 aprile in val Chiavenna in cui il Gruppo era presente in quanto Enore Angelini faceva parte del complesso musicale del Movimento Studentesco di Sondrio.

In quell’occasione parlò il socialista Della Briotta e ricordo con simpatia qualche vecchio socialista e partigiano. Si parlava con tono di ammirazione di chi, quel giorno, era riuscito ad issare una bandiera rossa in cima alla Falck di Novate Mezzola.

Partecipai a qualche volantinaggio davanti alla Metallurgica Martinelli di Morbegno, un’azienda padronale che in quel periodo contava più di trecento dipendenti.

Ricordo soprattutto un giorno di sciopero in una fredda giornata invernale; qualcuno aveva acceso un falò per riscaldarsi e una delle pochissime operaie presenti – evidentemente in risposta a qualcuno che le diceva di ritornare a casa – se ne usciva con un “cosa vado a fare a casa se il lavoro è qui?”.

All’ingresso principale della metallurgica era appesa una gigantografia che riprendeva i dipendenti a inizio Novecento: una ventina di ragazzi, tra cui addirittura qualche bambino. L’azienda chiuse nel 1995 e quell’immagine disturbante – da opificio dickensiano – era ancora presente.

L’ambiente, a partire dal padrone – il termine è assolutamente calzante al personaggio – era decisamente maschilista e ci furono alcune assunzioni di dirette alla produzione – ancorché a malincuore – soltanto a partire dagli anni 60 e unicamente grazie al fatto che la manualità femminile era ottimale per alcune produzioni (reti, legacci, etc.).

La sicurezza sul lavoro non era tenuta in alcuna considerazione: ogni tanto si verificavano incidenti, alcuni gravi e altri addirittura mortali. In un caso di mia conoscenza un operaio venne letteralmente trascinato all’intero di una macchina per la produzione di rete elettrosaldata, perdendo ovviamente la vita. Non mi risulta che la Metallurgica Martinelli abbia subito alcuna ripercussione per tale morte.

Termino le mie considerazioni sulla Metallurgica Martinelli accennando al fatto che la produzione di filo spinato andò ovviamente alle stelle durante il secondo conflitto mondiale. Qualche anziano operaio mi diceva di ricordare la fila di vagoni, con scritte in tedesco, in attesa di essere caricati…