Tutto cominciò con Satisfaction

 

Fu nel ’66 che, dopo una breve passeggiata sul lungolago di Como, gettonai in un juke box di un bar nei pressi della Stazione nord il brano “Satisfaction” degli Stones. I suoni ritmati e liberatori della musica e della voce degli Stones poco più che ventenni mi affascinarono a tal punto che, con l’intera collezione di “Ciao Amici”, la prima rivista italiana di musica rock, tornai in Valtellina per le vacanze natalizie. Volevo, con calma, rivisitarne pagine e pagine… vi erano ben descritte le arti e le sorti dei gruppi rock italiani e stranieri. Con mio padre lo scontro fu immediato. Fui accusato di insensatezza, le riviste scomparvero ma in me si fece più forte il desiderio e la volontà di libertà.

Libertà di espressione! Avevo quattordici anni. Nel ’67, pur nella limitatezza di notizie seguii con passione le vicende del Che che, riapparso in Bolivia, cercava di fare insorgere i Campesinos contro il potere dei gringos e dei loro lacchè, i sanguinosi ed efferati dittatori che terrificavano molti paesi del Sud America. Com’è ben noto il Che fu catturato, ucciso e massacrato.

Nessun’altra “CUBA” doveva nascere tra Centro e Sud America. Parola della C.I.A.!

Proprio in quel periodo la “maledetta” aveva favorito la produzione di quell’orribile film “I berretti verdi” che, con protagonista l’attore John Wayne, propagandava con toni enfatici e patriottici la giusta (sic) guerra contro “i musi gialli”, i vietcong vietnamiti. E quindi mesi ed anni di napalm e diossina, roghi ed incendi di interi villaggi, sangue e sangue. Vietnam.

Bombardamenti & Bombardamenti. Grandi affari per l’industria delle armi. Morte. Vietnam.

A Sondrio venne organizzata una protesta contro la proiezione di tale obbrobrio cinematografico.

Si cercò di occupare gli spazi di entrata al Cinema Teatro Pedretti. Fu in quell’occasione che conobbi Giorgio “Giona” de Giorgi che fu protagonista di tale sit-in. Beh, sì, Giona, appena ventenne aveva già vissuto “on the road” l’esperienza di quell’allegro neo-paganesimo hippy che dagli Stati Uniti d’America aveva fulmineamente raggiunto l’Europa. Peace and love – love and peace. L’aria della generazione del Vietnam, della rivolta di Berkeley, di Bob Dylan e altro… aveva raggiunto anche la Provincia.

Le piste rock stavano aprendo nuovi scenari: il ’68 era alle porte. Woodstock, Janis Joplin, Joe Cocker, Jimi Hendrix. Freedom!

Alcuni dei “capelloni” antiautoritari nostrani si trasformarono in protagonisti di vocianti assemblee contestatrici di ogni genere di vessazione scolastica e sociale. La democrazia assembleare cominciò ad essere fulcro, fucina di idee, di comportamenti, di stili di vita.

Eravamo adolescenti o poco più e, in quell’anno, raccogliemmo nel seno profondo del nostro mare il dolore per l’assassinio di Martin Luther King, il grande leader afroamericano antirazzista e pacifista ucciso a Memphis, Tennessee.

Le contestazioni al sistema scolastico, la necessità di demolire nozionismi asfittici, stereotipati autoritarismi e il desiderio di affrontare collettivamente la voglia di conoscenza furono il viatico per conclamare i primi scioperi, le prime occupazioni. Per mia fortuna al Liceo G.B. Piazzi incontrai quell’eccellente professore di lettere e raffinato intellettuale che fu Ivan Fassin.

La sua cultura, la sua capacità di coniugare storia, letteratura, arte e filosofia mi incuriosì molto perché, per la prima volta, potevo usufruire di uno scenario di conoscenze dialetticamente connesse, fruibili come sorgenti utili alla riflessione anche per il presente di allora. E poi, finalmente, la possibilità di esprimersi con libertà di pensiero e parola in un’aula scolastica. Grazie Fassin. Nel panorama dei docenti eri un’eccezione.

Fu così che scelsi di far parte di quella giovane galassia emotiva, pensante e desiderosa di agire in libertà che coinvolse la mia generazione. In quel clima di “stato nascente” proliferarono gli appartenenti ai movimenti rivoluzionari italiani che il maggio francese così incitò: c’est ne qu’un debut continuons le combat! – non è che l’inizio, continuiamo la battaglia! –

E fu così perché, dopo il rapido ’68, in Italia il nuovo anno, il ’69, fu gravido di spinte riformiste e rivoluzionarie. La classe operaia si diede nuove forme di rappresentanza dal basso con i consigli di fabbrica, le lotte rivendicative dell’autunno caldo generarono nel ’70 lo Statuto dei diritti dei lavoratori, il movimento studentesco spesso trovava momenti di unità con le lotte popolari.

Fu il tempo in cui cominciai a condividere, grazie al marxismo, la concezione materialistica della storia e la lotta anticapitalista come strumento strategico con cui indirizzare al meglio le nostre asperrime critiche al sistema. In quell’anno scesi qualche volta a Milano. Avevo appuntamento con dei compagni che vivevano in una vecchia struttura alberghiera occupata, l’Hotel Commercio, sito in Piazza Fontana. Lì ritiravo le copie di Lotta Continua che poi distribuivo al liceo.

E fu il 12 dicembre 1969 e proprio in Piazza Fontana che la madre di tutte le stragi realizzò destini di morte con le bombe alla Banca Nazionale dell’Agricoltura.

Per me, per la mia generazione fu uno spartiacque che disegnò una nuova geografia della pulsione libertaria.

Nessuno di noi credette alle versioni di Stato, alle programmate veline della questura di Milano che individuavano i colpevoli tra gli amici anarchici.

Bruno Vespa, sì Bruno Vespa l’attuale “cavalier servente” del talk show “Porta a Porta”, ostentando grande livore, annunciò al TG1 che, finalmente, era stato arrestato il ballerino anarchico Pietro Valpreda: “La belva umana”! Parola di Bruno Vespa!

Intanto il ferroviere Pino Pinelli… sicuro compare di Pietro nella strage… morì “precipitando” dalle finestre del palazzo della questura.

Mah, ma… in quei giorni scoprimmo che il questore di Milano, rozzo tessitore di indagini fuorvianti era Marcello Guida, fascista d’antan e direttore del carcere-confino di Ventotene durante il regime. Custodiva i prigionieri politici invisi a Mussolini tra cui alcuni che poi furono i padri della Costituente e della nostra nobilissima Carta Costituzionale. Il più famoso? Sandro Pertini, futuro e amatissimo Presidente della Repubblica negli anni ’80. Ce lo svelò un ex senatore del P.C.I., simpatizzante dei nuovi movimenti.

Giuseppe Alberganti, classe 1898. Nato a Stradella mentre suo padre era in carcere per i notissimi moti del ’98 a Milano repressi nel sangue dal Gen. Bava Beccaris.

Giovane fondatore del P.C.I. a Livorno nel ’21, protagonista nel ’36 della guerra di Spagna e poi ospite, a partire dal ’41, ospite suo malgrado del carceriere Marcello Guida al “Grand Hotel Ventotene”.

Noi affermammo subito che la Strage era di Stato ed era diretta a creare un clima di paura e terrore, di repressione contro chi alzava la testa per avere nuovi diritti. Il panorama internazionale certo non favoriva la difesa e lo sviluppo della democrazia visto che, nella vicina Grecia, favorito dalla C.I.A., il colpo di stato dei colonnelli aveva da un paio d’anni instaurato la dittatura militare.

E l’Italia non era certamente esente da tentativi di colpo di stato. Nel ’64 il caso Sifar, il Gen. De Lorenzo. Ecco questi furono i miei primi avventurosi passi di libertà e ricerca della verità nell’età dell’adolescenza, l’età dell’innocenza. Quella del ’68.