La scuola per lavoratori di via Parolo

Una stufetta “fai da te”
Luigi F
A Sondrio nell’autunno del ’69, per iniziativa di un gruppetto di insegnanti, di cui anche io facevo parte, venne organizzata una scuola popolare serale gratuita per studenti lavoratori che intendevano conseguire il diploma di terza media. Alla base di questa iniziativa c’era la convinzione comune che la cultura, l’istruzione, la scuola sono un bene primario e che deprivarne la gente è deprivarla di uno dei diritti fondamentali. Naturalmente, molto ha influito sulla nostra decisione don Milani con la sua scuola di Barbiana.
Abbiamo lavorato con molto affiatamento tra di noi e con grande cordialità di rapporti con i lavoratori (alcuni non più giovani); con sacrificio da parte loro e anche da parte nostra, senza sussidio alcuno. Ricordo che la piccola stanza affittata non aveva riscaldamento, e allo scopo avevamo preso una stufa a gas. Il locale era piccolo per tredici persone, tanti erano gli studenti, più l’insegnante di turno; la stufa a gas consuma ossigeno pericolosamente e ce ne siamo accorti una sera con spavento.
A quei tempi si fumava dappertutto (anche a scuola, nelle sedi sindacali, nei cinema..); fumavo anche io. A un certo punto, faccio per accendere una sigaretta e il fiammifero mi si spegne; ne accendo un altro e ancora si spegne. Allora ci guardiamo in faccia: “Ragazzi, non è che qui manca ossigeno e rischiamo l’asfissia?”. Era così; e siamo corsi a spalancare la finestra.
Tutti i nostri tredici studenti furono promossi, e questo fu motivo di grande soddisfazione loro e nostra.

Insegnavo inglese con una certa faccia tosta
Floriana
Negli anni ’69-’71 si creò un altro punto di riferimento presso un freddo appartamento in via Parolo: dell’affitto si era fatto garante Don Abramo. L’appartamento era necessario per un’iniziativa simile a quella che molti sessantottini presero in altre città italiane. La lettura di don Milani, in particolare di Lettera a una professoressa, convinse alcuni del gruppo, non solo universitari, a organizzare corsi per adulti che non avevano la licenza media. Gli ‘studenti lavoratori’ provenivano anche dai paesi vicini e superarono tutti gli esami (io insegnavo con una certa faccia tosta inglese). L’esperienza si concluse nei primi anni Settanta, quando la scuola statale organizzò i corsi delle 150 ore. Finita l’esperienza molto positiva con gli adulti, l’anno successivo ci impegnammo in corsi di recupero per ragazzi che frequentavano la scuola media unica da poco istituita. Le aule si riempivano di ragazzi provenienti da tutti i quartieri della città, soprattutto dalle famiglie in difficoltà economiche e culturali. Gli stessi locali diventavano la sera luogo di discussione e di assemblee degli studenti che vi organizzarono le prime iniziative nelle scuole superiori.

Uno studente modello
Maria
Di questa esperienza condivisa io voglio ricordare il finanziere. Compare a corso già iniziato entrando a far parte di quella piccola e singolare scolaresca che seguiva le lezioni in un’angusta aula di fortuna.
La sua diversità rispetto agli altri è da subito evidente. Di bell’aspetto, molto giovane, molto garbato nei modi ma altrettanto riservato. Nessuna espressione dialettale, nessun ammiccamento alla moda volutamente trasandata di quel periodo. Altrettanto eccezionali la sua assidua presenza e la sua costante attenzione. Uno studente modello che agli esami avrebbe sicuramente premiato il suo e il nostro impegno.
Erano passati l’autunno e il freddo dell’inverno e poi la primavera così dolce da poter spegnere la malefica stufa. Con il primo caldo di una quasi estate la data degli esami era via via sempre più vicina. è giugno e mancano poche settimane a quella data attesa e temuta. Il corpo docente si scinde secondo le esigenze dei singoli allievi e le singole discipline. Gli studenti lavoratori sono sempre più impegnati per poter superare al meglio la prova.
Tutti sono presenti. Tranne il finanziere. Proprio l’allievo che avrebbe potuto affrontare con più sicurezza la prova è scomparso. Ci si interroga sui possibili motivi di questo abbandono inatteso e ingiustificato. Una dei docenti decide di rivolgersi direttamente alla caserma della Finanza per avere una risposta ai nostri interrogativi. Nessuno dei superiori, dei funzionari, degli impiegati, degli uscieri ha mai sentito quel nome, ha mai visto quel giovane di bell’aspetto e di belle maniere. Non è un finanziere, non lo è mai stato.
Gli esami si concludono felicemente e nessuno pensa più al mistero del finanziere scomparso. A distanza di diversi mesi durante un occasionale scambio di ricordi tra alcuni di noi riaffiora anche quella memoria. E dopo quanto è successo nel frattempo in Italia, e non solo, il mistero non sembra più tale.
Oggi mi chiedo se fossimo a tal punto sprovveduti da non capire subito che quello studente era troppo perfetto per non essere inventato. Ma mi
chiedo anche se la Questura non fosse altrettanto sprovveduta da pensare che quel drappello di insegnanti potesse costituire un pericolo per il Paese. Quegli stessi che erano incapaci di governare una vecchia stufa a gas avrebbero mai potuto promuovere una seria rivoluzione? E quel povero ragazzo (perché tale era) che per dovere aveva dovuto subire una valanga di nozioni inutili avrà avuto almeno un riconoscimento adeguato? Se non una medaglia al valore almeno una promozione?