L’oscurità è ancora completa quando Lucinete viene svegliata dal trapestio dei suoi genitori che si preparano per recarsi alla colheita (raccolta) del caffè. Nonostante le pareti sconnesse, neanche un filo di luce filtra nell’unica stanza in cui dorme l’intera famiglia. Tuttavia il bairro Maruim – che idea chiamarlo come quella piccola ma così perniciosa zanzara; le altre favelas per lo meno nei nomi evocano cose belle, buone, positive: Liberdade, Jardim, Oasis… – è già pieno di voci e di rumori: gli abitanti si stanno gettando nella quotidiana lotta per l’esistenza. Proprio così si dice: ir á luta, espressione estremamente indovinata soprattutto da quando, con la pandemia, è cominciata la quarantena. Eh sì, all’inizio sembrava qualcosa che non riguardasse gli abitanti delle periferie, dei quartieri più poveri. Il virus dei ricchi l’avevano definito. Infatti i primi infettati erano persone di classe media, anzi medio-alta: bianchi dei quartieri residenziali che avevano cominciato a stare male nelle loro belle case al ritorno da un viaggio in Europa, per la maggior parte in Italia da dove provenivano i loro bis o tris o quadrisnonni. Per loro il virus dei ricchi non era poi tanto male: tranne i pochi che presentavano gravi disturbi, tutti gli altri trascorrevano il tempo nei loro spaziosi e freschi giardini, premurosamente serviti dai loro domestici, bevendo cerveja (birra) e caipiroska – con la vodka: la caipirinha di pinga (cachaça, distillato di canna da zucchero), come dice il nome che viene da caipira (campagnolo), è adatta alle persone rozze, ignoranti, di pelle scura. E questi, pensavano i padroni, non si ammalavano, protetti dalla loro razza, inferiore sì ma più resistente. Così, nonostante la quarantena cui erano sottoposti i padroni, i servitori continuavano ad uscire ogni mattina dalle loro baracche per accudirli in tutte le loro esigenze. Ma poi il numero dei contagi è cresciuto, il morbo si è diffuso, ci sono stati i primi morti ed i ricchi si sono spaventati. Così molti domestici hanno dovuto rimanere a casa, perdendo il lavoro e trovandosi in grandi difficoltà per la sopravvivenza. Era capitato anche a sua mamma, Janaina che tutti chiamano Jana, che da un giorno all’altro si era vista rifiutare da tutte le signore per le quali effettuava le pulizie. Fortuna che dopo qualche settimana era cominciata la raccolta del caffè ed era stata contrattata insieme al marito. Fortuna sì, ma dura. Devono alzarsi assai prima dell’alba: a un quarto alle cinque il pullman scassato – utilizzato solo per questo – parte dalla piazza del Porto, fortunatamente a non più di quindici minuti di distanza dalla loro baracca, per trasportare i braccianti nella zona delle piantagioni. Da lì poi, in gruppi, si recano nelle proprietà dove svolgono il lavoro, che deve avere inizio prima delle sei, quando appena si intravedono le prime luci dell’alba. Al loro arrivo tutto è bagnato di rugiada e l’umidità tra i filari crea una nebbia bassa e densa che preannuncia una giornata torrida, di sole cocente. Oppure, al contrario, li accoglie una pioggia fitta, battente accompagnata da raffiche di vento freddo (la frente fria che soffia dal Polo Sud), che durerà tre o quattro giorni. La raccolta avviene nel cambio di stagione tra l’estate e l’inverno, quando il clima è estremamente instabile. In ogni caso il lavoro è subito frenetico. Il raccoglitore o la raccoglitrice di caffè possono realizzare un buon reddito, anche 150 – 180 reais al giorno, ma occorre lavorare senza un attimo di sosta, con la maggiore rapidità possibile per 10 – 12 ore. La paga è in relazione alla quantità raccolta: 12 reais (un po’ meno di due euro) per un sacco di 60 chili. 180 reais corrispondono a 15 sacchi. Vuol dire 75 chili ogni ora di lavoro: più di un chilo al minuto, letteralmente senza un attimo di tregua. E questo senza contare che occorre prestare un’estrema attenzione a non rovinare i rami – altrimenti si dovranno pagare i danni – e he, via via, bisogna lasciare il suolo pulito. Un lavoro da macchine, più che da uomini e donne. E infatti molti proprietari stanno sostituendo la raccolta manuale con quella meccanizzata. Fortunatamente – sono proprio protetti dalla fortuna – il coltivatore che li ha assunti non si è ancora deciso per le macchine, così possono avere questo reddito col quale mantenere la famiglia: Lucinete, 12 anni, ed i fratellini Aarão di 7 e Abayomi di 5. I due che c’erano in mezzo sono morti. Lei, la grande, si deve occupare dei piccoli, anche se con Aarão ha molte difficoltà: ora che le scuole sono chiuse il ragazzino trascorre l’intera giornata nei vicoli della favela a giocare con gli amici ma anche a svolgere qualche servizio per i trafficanti che controllano lo spaccio di droga. Questo preoccupa Lucinete, ma non può farci niente: la quarantena ha spazzato via gran parte di quello che era stato costruito per sottrarre i bambini e gli adolescenti allo sfruttamento dei gruppi criminali, ancora più forti ora che la paura del contagio e l’aumento di scippi e rapine hanno sigillato la favela. Meno male che Abayomi le ubbidisce e non si allontana dal suo fianco. La giornata di Lucinete è impegnativa. Poco dopo l’uscita dei genitori, non appena si fa giorno, prepara la colazione per i fratellini: caffè con latte e pane spalmato di requeijão (crema di latte), una prelibatezza, un lusso reso possibile dai proventi della safra (raccolta) del caffè, che anche lei mangia con gusto. Poi, dopo essersi preparata ed aver sistemato la sorellina –  Aarão è già sparito – esce per comprare il necessario per il pranzo, la cena dei genitori che torneranno a notte stanchissimi ed affamati, nonché il pasto che porteranno con loro il giorno successivo. È lei, ora, la responsabile della cassa e deve amministrarla bene: riso, fagioli, farina di manioca non possono mancare, così caffè, zucchero, sale e anche uova. Un po’ di carne – pollo e tacchino sono le più convenienti – per il fine settimana, olio di soia e naturalmente occorre controllare che il gas non sia alla fine. Tutte cose che vanno comprate dove il prezzo è inferiore. Il costo della vita, purtroppo, cresce di giorno in giorno. Fortuna che il Centro Reconstruir a Vida distribuisce gratuitamente frutta e verdura: tra i prodotti che subiscono l’aumento maggiore. Un paio di volte alla settimana li riceve dal proprietario di un supermercato e da alcuni piccoli coltivatori dell’area rurale, persone sensibili che conoscono ed apprezzano l’attività del Centro. Ecco, il Centro: le mancano le numerose e interessanti attività che vi si svolgevano; l’animazione, la musica, gli scherzi e le risate con gli amici; anche i litigi, le rivalità, le gelosie. Ora è tutto molto più triste. Sì, tia Joana e Debora continuano ad andare per distribuire i viveri e gli aiuti alle famiglie. Una alla volta, senza incrociarsi, altrimenti la Prefeitura farà chiudere e sarebbe una grande disgrazia. Per la sua famiglia è lei che va ed è contenta di vedere persone amiche, che le vogliono bene e per le quali prova un grande affetto. Ma che tristezza non poter dare né ricevere un abbraccio: è come se l’incontro non avvenisse neppure! Una volta alla settimana è il suo turno di lezione con Leandro, l’insegnante che si occupa del reforço escolar, il sostegno scolastico che ora va fatto individualmente. E meno male che tia Joana e gli altri educatori si sono inventati questa possibilità! Le dispiace così tanto non poter andare a scuola. Le piace studiare; è al sesto anno, vorrebbe continuare. Ora, però, con le scuole chiuse, rischia di dimenticarsi tutto quello che ha imparato. Non sa come fare lei a svolgere i compiti che vengono inviati per e-mail: non ha un computer né un accesso ad internet e del resto il suo tempo è quasi tutto impegnato. Ha solo quest’ora settimanale con Leandro. Chissà se potrà realizzare il suo sogno di frequentare un giorno la facoltà, come Taissa che con l’aiuto dall’Italia va all’università, anche se ha già una bambina di due anni…
 
Ma certo ci sono situazioni più difficili della sua. Mentre pensa queste cose, è risalita dalla rampa che dalla favela porta verso la parte alta della città, tenendo ben stretta la manina di Abayomi e sta andando verso il mercato. Passando davanti alla Caixa, la banca che distribuisce il contributo emergenziale di 600 reais (95,60 euro) che il Governo ha stanziato per le persone che sopravvivevano con lavori informali e ora non hanno più alcun reddito, fiancheggia la lunghissima fila delle persone in attesa. Molte, per non perdere il turno, hanno trascorso lì la notte, come la sua vicina Helena che ha perso il suo lavoro di bambinaia ed il cui marito pescatore ha dovuto sospendere l’attività. Hanno due bambini che, essendo chiuse le scuole, non ricevono più la refezione. Non sanno come fare. Il marito, preso dallo sconforto e dal peso dell’umiliazione, si stordisce con l’alcool, così dei 600 reais del sussidio almeno 200 vanno in cachaça. Quello che riamane è molto poco e non basta per acquistare il cibo indispensabile. 1 kg di riso sono 9 reais, altrettanti per un kg di fagioli, 6 per un kg di farinha (di manioca), 7 una confezione di 12 uova. Poi ci sono latte, caffè, zucchero, olio ed il gas, costosissimo: 75 reais per una bombola da 13 kg. E meno male che il Centro Reconstruir distribuisce frutta e verdura!
 
Salutata Helena, un po’ più avanti nella fila compatta – chissà la gioia del virus per questa insperata possibilità di propagazione! – spicca la fisionomia fine e nerissima di Marlusia, impreziosita dalla fluente acconciatura afro. La saluta con un ampio sorriso. Marlusia è più di una amica, più di una sorella: è il suo modello, il suo idolo. Poverissima, con una situazione familiare estremamente problematica, vive in una favela all’estrema periferia della città. Si occupa della mamma alcolizzata e con gravi problemi psichiatrici e deve continuamente rintuzzare gli approcci sgraditissimi del padrigno. Contribuisce in maniera determinante al sostentamento della famiglia – si può dire che è lei che la mantiene – svolgendo ogni genere di  lavori: consegne a domicilio, cameriera in bar e ristoranti nei fine settimana, babá (baby sitter), ragazza delle pulizie, commessa temporanea, inserviente… Con tutto ciò segue i corsi serali della facoltà di diritto. In quel suo fisico minuto nasconde una volontà di ferro. Studia con impegno, vuole fare l’avvocato. È fiera ed orgogliosa di aver rotto – come lei dice – il paradigma: ragazza nera e povera che frequenta con successo l’università. Sì, è un bellissimo esempio per le ragazzine come lei, la dimostrazione che si può. Si può uscire dalla miseria, vincere l’emarginazione, superare il pregiudizio; sottrarsi ad un destino che sembrava irrimediabilmente segnato. Quando Marlusia e gli altri giovani che stanno studiando con le borse di studio vengono al Centro, lei e i suoi compagni li ascoltano incantati. Sembra che raccontino una fiaba, che vivano in un altro mondo. E invece sono proprio come loro: nati in favela, cresciuti in mezzo al traffico di droga, la violenza e la prostituzione. Ma ora ne sono fuori: stanno percorrendo un cammino, costruendo un futuro totalmente differente. E si aiutano l’uno con l’altro ed aiutano anche loro, i più piccoli che tanto desiderano imitarli.
 
L’incontro con Marlusia la anima ed incoraggia, le infonde speranza, le comunica la volontà di maturare la sua stessa determinazione. Peccato che subito dopo, passando davanti all’edicola la colpiscano i titoli dei giornali: “Con 271.628 contagiati e 17.971 morti per coronavirus – 1.179 nelle ultime 24 ore – il Brasile è il quarto paese al mondo per numero di casi”. Altro che virus dei ricchi, ad essere colpiti sono soprattutto i poveri, quelli come lei, Taissa, Helena, Marlusia… Chissà se riuscirà a tornare a scuola, se Taissa potrà concludere gli studi, se Marlusia conseguirà la laurea per la quale tanto ha lottato, chissà… Ma non bisogna desistere, mai rinunciare, mai disperare: se Deus quiser…
 
Associazione Sondrio – São Mateus: A dança da Vida ODV