In questi giorni così terribili, soprattutto qui in Lombardia, penso sempre  alle persone care già morte.
L’ultima, in ordine di tempo, è Vanna, l’amica bergamasca che, da anni, viveva in Svezia, morta nel 2019. A Bergamo, e provincia, il virus si è propagato in maniera esponenziale, mettendo in estrema difficoltà tutte le strutture sanitarie, provocando centinaia di morti. Ho continuamente davanti agli occhi la bella città di Bergamo, come l’ho vissuta, amata durante un inverno della mia giovinezza. Avevo conosciuto Vanna tramite un amico di Faenza, il quale voleva salutare un compagno di naja che abitava nella stessa casa. Dall’incontro è nata la nostra lunghissima amicizia e l’atmosfera di quella sera è rimasta impressa dentro di me, indelebilmente. Bergamo allora era meno ‘valorizzata’, più autentica, come la casa dove abitava Vanna, un palazzo del Settecento, che manteneva intatta la sua eleganza aristocratica, senza disdegnare i segni del tempo, anzi nobilitandoli. Allora, nei  favolosi, per me, anni Settanta, era possibile trovare soluzioni abitative di questo tipo, senza essere ricchi. Ho già raccontato di quel periodo, della casa, alla quale ho dedicato una poesia, intitolata Via Broseta. Al numero 29 sorgeva il palazzo, ormai restaurato. L’appartamento dove viveva Vanna è stato acquistato da una inquilina, che poi si è trasferita ad Aosta.  Chissà chi ci abita adesso, preferisco non saperlo, conservare la traccia del passato, senza sovrapporle altro. Vanna l’ho rivista raramente, dopo che se n’è andata da Bergamo, trasferendosi in Svezia. Sono stata solo due volte a trovarla nel paesino dove abitava. Erano quattro case, a mezz’ora da Stoccolma, immerse in una natura incontaminata, poderosa. Boschi e boschi di pini che mi facevano venire in mente la Russia.
Dopo quelle visite, benché invitata spesso, non ci sono più andata. Non sono una grande viaggiatrice, e col passare del tempo ho perso sempre più la voglia di fare viaggi lunghi, soprattutto in aereo. Con Vanna ci tenevamo in contatto tramite le lettere e poi, quando ho imparato a usarla, con la posta elettronica. Ogni tanto, quando veniva in Italia a trovare il padre, la sorella e due fratelli, capitava che ci si desse un appuntamento a Bergamo. Il più delle volte non riuscivamo a rispettarlo, o perché lei improvvisamente andava da altri parenti a Parma, o perché a me sorgeva qualche intoppo.
Eppure non ci si perdeva, il filo che ci univa restava saldo, bastava un messaggio, poche parole perché io rivedessi il suo viso, l’immancabile sorriso, e ritrovassi tutta intera l’aura di via Broseta. Le nostre passeggiate a Bergamo Alta, le puntate ai mercati per cercare bottoni fuori moda, che sostituiva sulle camicette, rendendole più preziose. Apprezzava anche i mobili vecchi, che comprava dai rigattieri, scovando sempre qualche pezzo originale. Alcuni anni fa decise di acquistare una casa a Curno, vicino a Bergamo e a sua sorella. Un grande avvenimento anche per me, poiché la speranza di vederci diventava più concreta. Infatti ci siamo incontrate. L’appartamento era molto diverso da quello di via Broseta, ma alcuni dettagli me lo ricordavano. In particolare un pregevole tavolo ottagonale, comprato dal solito rigattiere. Nel pomeriggio facemmo assieme una passeggiata a Bergamo Alta. Dalla sua casa si poteva andare a piedi, percorrendo una stradina che costeggiava prati e giardini. Una zona della città che non avevo mai frequentato, e che conservava esatto lo stile mite del passato, quando a Bergamo Alta si potevano vedere le mucche pascolare sotto le mura. Vanna aveva un’altra casa in Italia, all’isola d’Elba. Anche lì mi aveva invitato, ma non si era mai trovata l’occasione giusta, perché la casa era piccola e sempre affollata di ospiti. Non mi importava, e pure lei capiva che più di tutto ci univa il passato, il momento magico che avevamo vissuto, senza che fosse programmato. Chi avrebbe immaginato cosa sta succedendo adesso a Bergamo? Quando camminavo per le sue strade durante quell’inverno, sola, troppo esposta alla mia tormentosa giovinezza, non pensavo alla morte. Però non vedevo l’ora di tornare presto nella casa della mia amica Vanna, dove mi sentivo così ben accolta, protetta.

Michela Gusmeroli