Floriana Valenti, docente e studiosa di storia locale,  approfondisce, sulla base dei Racconti del ’68  e di una intervista a Don Abramo Levi effettuata nel 2005, le modalità con cui i giovani cattolici  valtellinesi  furono coinvolti e parteciparono al ’68.

I giovani cattolici e il ’68

Per questo approfondimento devo molto a Don Abramo Levi, che mi concesse nella primavera del 2005 un’intervista sugli universitari cattolici sondriesi e il sessantotto. Mi stupì la sua prodigiosa memoria: ricordava episodi e persone con estrema precisione.

Le citazioni sono tratte dalle testimonianze dei sessantottini che raccontano esperienze ecclesiali.

Molti giovani cattolici alla fine degli anni sessanta vivevano con un crescente disagio la loro appartenenza a una Chiesa ancora chiusa ad ogni cambiamento. Solo da pochi anni era entrato in vigore l’uso dell’italiano nella liturgia; rimaneva lo stretto allineamento della Chiesa italiana alla DC; non c’era spazio per una partecipazione propositiva dei laici. Una Chiesa lontana dal Concilio che, indetto nel 1963 da papa Giovanni XXIII, si era concluso nel 1965. I documenti conciliari fornivano un’immagine di una Chiesa aperta al mondo e alla modernità. L’entusiasmo e la speranza per questa apertura diedero ai giovani la spinta a voler riformare la Chiesa e insieme cambiare il mondo.  “In una fase di profonda trasformazione culturale, l’emersione del cosiddetto dissenso politico ed ecclesiale ha rappresentato una risposta generazionale e trasversale alle diverse anime del mondo cattolico, risposta culminata nel momento ’68 con l’esplosione delle contrapposizioni innescate dal Concilio nella contaminazione con le parole d’ordine dei movimenti di lotta.”[1]. Contemporaneamente si andavano manifestando una rivitalizzazione del pensiero marxista e un’aperta critica all’ortodossia dominante nei partiti di sinistra.  Le due istanze ecclesiali e politiche, pur se non omogenee tra loro, prese nel loro insieme contribuirono a formare un retroterra ideologico in cui i valori di solidarietà, azione collettiva e lotta all’ingiustizia sociale si contrapponevano all’individualismo e al consumismo del capitalismo maturo.

La contestazione contro la guerra del Vietnam e la denuncia delle feroci dittature dell’America latina furono sostenute anche da ideali cristiani. Padre Camillo De Piaz, frate servita di Madonna di Tirano, tenne in Piazza Duomo a Milano l’intervento conclusivo di una delle grandi manifestazioni contro la guerra del Vietnam. Ernesto Guevara, il Che, divenne l’eroe degli studenti italiani senza distinzione di fede come il prete guerrigliero colombiano Camillo Torres morto in battaglia nel 1967. Molte le esperienze che in ambito cristiano influenzarono i giovani. I teologi della liberazione (parola così vicina a rivoluzione) che ponevano l’accento sui valori di emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano; alcuni sacerdoti italiani come Don Zeno, il prete ribelle fondatore in Toscana di Nomadelfia, una comunità democratica e fraterna per gli orfani della guerra; Don Enzo Mazzi, parroco nel quartiere Isolotto a Firenze, che aderì radicalmente alle istanze rinnovatrici dal Concilio e che, nel 1968 per la sua aperta solidarietà ai giovani  che avevano occupato il Duomo di Parma non riconoscendosi nella politica democristiana, fu rimosso dall’incarico; ma soprattutto Don Lorenzo Milani, il prete toscano esiliato a Barbiana dalla ‘sua’ Chiesa[2]. Lettera ad una professoressa, il libro scritto con i suoi ragazzi divenne il libro del Movimento Studentesco. Veniva letto ad alta voce tra le tende allestite davanti all’Università Cattolica di Milano per lo sciopero della fame contro l’aumento delle tasse nel 1967. Brani dai libri di Don Milani saranno letti anche nei contro quaresimali di Trento.[3]Con questi riferimenti culturali ed ecclesiali gli studenti cattolici si affacciarono al movimento del’68.

In provincia i giovani cattolici non furono estranei a queste sollecitazioni, come emerge chiaramente dai racconti dei nostri autori che iniziano con il ricordo dell’educazione alla fede ricevuta in famiglia: rispettosa e aperta o oppressiva e bigotta. Scrive Luciana Ho avuto un’educazione cattolica come era normale nei paesi, con Famiglia Cristiana che arrivava regolarmente tramite la parrocchia. Mia madre era la custode dell’osservanza cattolica nella famiglia e si preoccupava che io frequentassi regolarmente la messa e l’oratorio e Ulrico In casa non si parlava di politica, molto di religione. Dorina, sottolineando il rifiuto della madre di rivelare al prete le proprie scelte politiche, afferma Questo non intaccava la fede cristiana dei miei genitori, che non erano però né integralisti né autoritari, permettendoci di compiere liberamente le nostre scelte personali senza grossi scontri. Chiara e Rosaria ricordano il padre “confratello”[4] in una famiglia cattolica e praticante, ma non bigotta e aperta a una cultura laica. Erveda e Mauro, invece, si contendono l’appellativo di pecora nera della famiglia per il rifiuto a partecipare alle funzioni liturgiche Avevamo avuto una formazione cattolica e partecipato alle attività parrocchiali… Il nostro rifiuto di andare a messa e di frequentare la chiesa ci era costato molta energia, in una lotta solitaria che ci aveva relegato sempre più al ruolo di pecora nera. Sonia viveva un’esperienza particolare, oggi si direbbe interconfessionale, con il padre cattolico e la mamma protestante.

Queste testimonianze offrono uno spaccato dell’educazione religiosa nelle famiglie cattoliche in sintonia con la pastorale familiare di quegli anni: la famiglia doveva conoscere, amare e servire la Chiesa; un corretto rapporto tra famiglia e Chiesa era considerato prioritario, rispetto a quello tra famiglia e società.

Dalla fede vissuta in famiglia i racconti passano alle esperienze nelle organizzazioni ecclesiali: Oratorio, Azione Cattolica e più tardi Gioventù Studentesca (GS) furono luoghi per vivere la fede e insieme occasioni d’incontro per ragazzi e giovani; furono il principale luogo di aggregazione per bambini e adolescenti[5].   L’incontro con l’oratorio era del resto naturale per chi viveva in famiglie cattoliche: i locali della parrocchia per il catechismo, il campo da calcio per i piccoli calciatori o la palla prigioniera per le bambine. Marina lo definisce svago domenicale delle famiglie modeste I chiavennaschi Mauro e Lorenzo, al contrario, ricordano con nostalgia i cineforum, i viaggi a Bose e ad Assisi organizzati dai sacerdoti dell’oratorio.

Molta attenzione negli scritti è dedicata alle associazioni cattoliche: i gruppi di Azione Cattolica e, per gli studenti soprattutto sondriesi, Gioventù Studentesca che è stata per molti la spinta alla riflessione critica sulla realtà ecclesiale e all’adesione al movimento del ’68.  Per Silvia ha rappresentato per molti giovani di allora un passaggio importante, un’esperienza di comunità, per Anna svolgeva una certa funzione dirompente in ambito cattolico. Marina ne scrive come  di un luogo di relazioni piuttosto libere, che generarono coppie, e di importanti scambi auto coscienziali nel raggio[6]. Fu un fiorire di scambi tra studenti di varie provenienze, fino ad allora divisi da potenti barriere sociali e scolastiche, tanto che all’avvio del ’68 quasi tutti i “presidenti di assemblea” e animatori della contestazione delle scuole superiori di Sondrio erano provenienti da Gioventù Studentesca.  Da un’iniziale chiusura a carattere integralista, infatti, dopo il 1966, G.S. si aprì al sociale, alla realtà del terzo mondo[7] anche grazie agli incontri con gli ex giessini che frequentavano l’università ed erano venuti in contatto con le prime lotte studentesche a Trento e Milano. Il Mallero, mensile pubblicato da G. S. e diffuso in tutte le scuole superiori, con la finalità precipua di coinvolgere gli studenti in una proposta di educazione alla fede cristiana, a partire dal ’67 pubblica pagine con riflessioni di attualità politica, sociale e anche religiosa non convenzionali. E’ del settembre ‘67 un lungo un articolo di recensione di Lettera a una professoressa [8],  articolo che rifletteva le discussioni animate tra gli studenti, affascinati dagli ideali della scuola di Barbiana: costituire un’istituzione inclusiva, democratica, con il fine di far arrivare, tramite un insegnamento personalizzato, tutti gli alunni a un livello minimo d’istruzione, garantendo l’eguaglianza fra gli studenti con la rimozione di quelle differenze che derivavano da censo e condizione sociale. Ci si riconosceva in quel modello scolastico anche perché l’ITIS era frequentato prevalentemente da figli di operai o tecnici che ambivano a un diploma. Sergio. Nei mesi successivi il giornale ospitò altri articoli su Martin Luther King, sull’Imperialismo, sulla comunità di base di Don Mazzi.

Negli stessi anni i giessini, iscritti all’Università, nei fine settimana si ritrovavano in una sala parrocchiale sopra il cinema Excelsior. Don Abramo Levi, incaricato dall’arciprete di Sondrio di seguirli, divenne un riferimento autorevole e quasi subito un amico. Professore in seminario, scrittore, già assistente delle ACLI provinciali, stimato e temuto dalla Curia diocesana e locale, seguì con intelligenza e affetto i giovani, offrendo gli spazi per le loro riunioni. Erano continuati gli incontri con gli studenti medi ancora in GS, interessati ad un approfondimento religioso e a quanto accadeva nelle Università, così nel 1967 il gruppo si spostò presso la Casa di Riposo delle suore della Sacra Famiglia in via Lavizzari dove viveva Don Abramo. Si studiavano i documenti conciliari, utilizzando i numerosi commenti apparsi sulla stampa, cattolica e laica e il quotidiano francese Le Monde. Negli anni 67/ 68 si tenne a Sondrio un ciclo di conferenze sul Concilio a cui il gruppo partecipò con grande interesse.  I documenti conciliari Gaudium et Spes, sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, e Lumen Gentium, sulla Chiesa, vennero commentati con riferimenti ai problemi della società non solo italiana e alla situazione della Chiesa nel mondo[9]. Di grande spessore teologico i relatori, presentati da padre Davide Maria Turoldo. Tra loro Raniero La Valle e il Cardinal Lercaro, entrambi soggetti a provvedimenti disciplinari per la posizione assunta contro la guerra giusta.[10]

Nella primavera del 1967, sempre in via Lavizzari, iniziarono i primi contatti con l’Università di Trento alla quale alcuni si erano iscritti. Alla facoltà di Sociologia erano sorti i primi movimenti di contestazione. Particolarmente attivo nel tenere i rapporti fu Luigi Bordoni, detto Balena, studente lavoratore iscritto a quella Università. Un altro gruppo si era iscritto all’Università Cattolica di Milano, dove furono organizzate commissioni sulla ambiguità di collocazione di un’Università confessionale nella cultura italiana.[11] E in via Lavizzari, a Sondrio,  ancora studio, ancora pensatori:  Il Racconto del Pellegrino, autobiografia di Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti che dimostrava che si poteva vivere da cattolici dentro una Chiesa rigidamente disciplinata, mantenendo libertà d’azione; le opere di Felice Balbo, cattolico e comunista militante, impegnato in un progetto di rifondazione della politica;  l’articolata denuncia di Don Milani contro l’organizzazione del consenso[12]  su cui si basa ogni forma di poter e a cui si deve opporre l’autenticità e la verità della proposta politica. Anche la figura di Santa Teresa, narrata nel libro dello stesso don Abramo, Teresa di Lisieux, affascinava il gruppo per la naturalezza e l’attenzione alla vita quotidiana e ci fu chi lo lesse durante le assemblee universitarie.

Intanto gli incontri del fine settimana al ritorno da Milano continuavano non più nel salotto di Don Abramo, ma nell’antica officina di un fabbro, un grande locale situato al piano terra della casa.  Lo spostamento era stato necessaria perché le riunioni si protraevano fino a tarda sera e il gruppo si era allargato: studenti della facoltà di sociologia di Trento, della Cattolica e del Politecnico di Milano discutevano con i sempre più numerosi studenti delle scuole superiori della città che sarebbero poi diventati protagonisti del movimento studentesco di Sondrio. NO AI PRETI COMUNISTI: questa scritta apparve sul muro della casa di riposo, senza suscitare né scandalo né preoccupazione in Don Abramo e nelle suore.

Molti i riferimenti affettuosi a questo amico sacerdote che in quegli anni accompagnò con speciale ministero, con l’intelligenza dello spirito del tempo nuovo, la crescita dei giovani ribelli. Acquistò anche un pulmino per favorire gli incontri tra i giovani sondriesi ed altre realtà come quella di Trento, lo ricorda Anna e Michela annota Dalle diciotto in poi, intorno al suo tavolo, è un via vai continuo di persone, scopro la sua ricchezza umana e intellettuale, la vastità e la profondità della sua teologia filosofica. Scrive Silvia un prete cattolico- che ha saputo cogliere subito lo spirito del tempo che stava arrivando. …Abramo aveva visto in questa rivolta del ‘68 un principio di necessario cambiamento che lui stesso condivideva, regalandoci la sua attenzione, il suo sapere e la sua grande autorevolezza. Ci ha accompagnato, da allora e sempre dopo, con la sua presenza e con i suoi scritti illuminanti. Anche a Chiavenna si ricordano di lui: Lorenzo scrive di un incontro con don Abramo che, accompagnato dagli studenti universitari sessantottini, era salito al luogo natale di Fraciscio per il funerale della mamma, Mauro e Chiara ricordano due incontri affollati su fede e obbedienza condotti da Don Abramo che, in quella occasione, difese il gruppo da genitori ostili allo stile di vita dei giovani.

  Il 68-  altro momento storico che in Italia e nella Chiesa sarà ricordato come una realtà che è molto più di una data- trova Abramo Levi tra gli studenti con una presenza che lui stesso chiama “soprattutto affettuosa. Per un po’ di tempo abbandona lo scrivere per essere presente nei loro dibattiti e per accompagnare la loro ricerca[13].

Altri sacerdoti seguirono con attenzione i giovani in quegli anni assecondando la loro voglia di cambiamento nella Chiesa e nella società. Molti altri si opposero o non capirono i giovani ‘rivoluzionari’. In provincia come in tutta la Chiesa italiana.

Gli studenti del Liceo Classico scrivono di don Farinelli, docente di religione, che permise agli studenti di intervenire sull’America latina dopo la sua omelia presso la chiesa di San Rocco (l’esperienza si chiuse la domenica successiva). Luisa lo ricorda con stima per aver scelto un testo di religione che suscitava la riflessione e la formazione di un pensiero critico in anni in cui questo non era riconosciuto come valore L’ora di religione fu, nel corso della classe IV, un vero spazio di dialogo in un contesto in cui il dialogo mancava. A Mossini il parroco permise per due domeniche interventi dopo la predica. Esperienza anche questa conclusa per ordine della Curia. In tutta la provincia ci furono richieste ai parroci di assemblee per discutere la partecipazione dei laici alla vita della Chiesa. Del resto in Valle diventavano sempre più forti gli echi della “Chiesa del dissenso” che, attraverso le esperienze dei preti operai e delle Comunità di base, portava avanti la critica alla divisione della società in classi e promuoveva quelle istanze di giustizia sociale che tanta importanza ebbero nel motivare l’adesione di molti giovani cattolici al movimento del ‘68.  Ennio frequentava il ginnasio dai Salesiani dove si avvertiva, un grande entusiasmo per il rinnovamento della Chiesa, promosso e incoraggiato dal Concilio da poco concluso. Tra i religiosi più anziani c’era chi guardava con sospetto le innovazioni post-conciliari, ma si trattava di eccezioni.

Emergono anche ricordi di sacerdoti contrari alle istanze dei giovani. Cinzia racconta la protesta degli studenti del liceo Piazzi di Sondrio (che richiamò l’attenzione di un organo della stampa nazionale) contro l’ora di religione. Per il sacerdote restava in vigore il Concilio di Trento. Le parole di Giovanni XXIII non l’avevano scalfito. Ogni proposta innovativa, ogni confronto, ogni tentativo di mediazione veniva respinto. Ironico il racconto di Ottorino relativo al parroco di Spriana che non benedice le case del paese di Cucchi, colpevole di aver ospitato la festa dell’Unità. Lorenzo scrive di un arciprete residuato storico di piccolo vescovo conte che gestiva in maniera clericale un enorme potere. Lorenzo ricorda uno scontro frontale con il sacerdote della sua parrocchia: lui coi contestatori era chiuso, chiusissimo.

A Chiavenna nascono i gruppi di vangelo animati da don Pier Lorenzo Trussoni, sono di questo periodo i “gruppi di Vangelo” organizzati dalla parrocchia a cui noi partecipavamo portando proprio le nostre critiche al cattolicesimo tradizionale e ponendo domande “scomode” tipo: chi sono i poveri? Per noi erano gli operai. Chiara. Gli incontri vertevano sulla “Teologia della Liberazione”, sui preti operai, sulla testimonianza dei valori evangelici che erano andati smarriti e portarono alla fondazione della Comune “La Palù” detta anche Campanile Nero dove si leggevano il Vangelo e la Bibbia e si tenevano contatti con la comunità ecumenica di Taizè.

A Tirano un gruppo di giovani inizia incontrarsi nel Convento di Madonna di Tirano dove vive Padre Camillo, il frate servita che aveva partecipato alla Resistenza e che sottoscriverà con Giorgio Bocca un appello per la liberazione di studenti arrestati in Cattolica durante la contestazione di un esame, lo ricorda Fabio M.

A Bormio Don Domenico Canciani[14], docente di letteratura francese al Liceo Scientifico gestito da religiosi Betharramiti, partecipa attivamente al collettivo Alta Valle impegnato su temi politici e sociali, riferiti alla speculazione edilizia della zona e ai grandi temi politici di quegli anni, ne scrive Fabio T.

 

Dopo questo lungo racconto ci si può domandare: fu contestazione ecclesiale quella che si sviluppò nelle parrocchie della Provincia di Sondrio? Nei racconti non si legge mai l’espressione contestazione ecclesiale[15] ma quello che avvenne da Bormio Tirano Sondrio e Chiavenna in modo autonomo e con un ritmo veloce fu certamente un’espressione di autentico dissenso ecclesiale.

 

Un’esperienza comune a tutti i gruppi della provincia furono i dopo scuola che sorsero a Sondrio, Chiavenna (Olmo), Tirano e Caiolo. Fu la lettura di don Milani, in particolare di Lettera a una professoressa, che spinse molti compagni anche non cattolici e non solo universitari a organizzare corsi per adulti che non avevano la licenza media. Fu questo un modo per conoscere il mondo del lavoro, stringere rapporti di amicizia che ancora permangono. L’esperienza si concluse nei primi anni settanta, quando la Scuola Statale istituì i corsi delle 150 ore. In seguito furono organizzati corsi di recupero per ragazzi che frequentavano la scuola media unica da poco istituita, provenienti famiglie in difficoltà economiche.[16]

 

Non ci fu un impegno specifico verso i poveri, come avvenne in altre realtà italiane che avevano avuto un percorso simile; alcuni autori accennano a rapporti con il Mato Grosso e con don Ugo De Censi. Luisa, responsabile del doposcuola a Sondrio e molto vicina a Lotta Continua, partì per il Perù proprio con l’operazione Mato Grosso, una scelta che considerò coerente alla battaglie sessantottine sulla giustizia sociale e il terzo mondo.

Allo stesso modo non ci sono accenni a quelle comunità di base che si svilupparono dopo il ’68 in molte città proprio sulla scia della contestazione ecclesiale. Ne scrive solo Lorenzo Con altri di Chiavenna partecipai in quel periodo ad un convegno delle Comunità di base alla Camera del Lavoro di Milano: forse erano i Cristiani per il Socialismo e c’era dom Franzoni

Concluso il percorso sessantottino, alcuni cattolici del dissenso rimasero all’interno della Chiesa sperando di contribuire a cambiarne gli aspetti non coerenti con il Concilio; altri si allontanarono delusi per la sostanziale mancanza di ascolto da parte della gerarchia alle loro istanze di partecipazione alla vita delle parrocchie. Diceva don Abramo, chiosando San Tommaso “se andando a messa ci si sente lontani dalle cose in cui si crede è necessario seguire la propria coscienza”

 

 

 

[1]La contestazione cattolica, Alessandro Santagata, viella, Roma, 2016, retro di copertina.

[2] “Pregate perché io prenda esempio da don Milani” papa Francesco a Barbiana nel 1967   sulla sua tomba.

[3] A don Milani e don Mazzi i giornali locali dedicarono molti articoli.

[4] I confratelli sono i membri di una confraternita, associazione di fedeli laici, con regolare statuto approvato dall’autorità ecclesiastica, avente per scopo opere di carità. Partecipavano vestiti di rosso alle processioni.

[5] L’ Azione cattolica, sorta nel 1867, è un’associazione laica a fini educativi e caritativi per bambini, ragazzi, adulti; Gioventù studentesca nasce al suo interno per opera di Don Giussani nel 1964, nel 1968 diventerà Comunione e Liberazione.

[6] Incontro settimanale a tema in cui tutti potevano esporre le proprie idee ed esperienze.

[7] L’apertura al sociale non si verificò in tutte le città: GS passò senza soluzione di continuità a CL.

[8] Il Corriere della Valtellina nel n. 27del 1967 pubblica un lungo articolo sui Don Milani.

[9] Intervennero: La Valle, Il Magistero della Chiesa e la vita politica; Gozzini, La Chiesa e gli altri; Elkan La Chiesa e i fratelli separati; prof. Camaiano, La libertà religiosa; Jemolo La Chiesa e i cattolici italiani, Mons. Cortesi Fede e Ragione; Mons Festorazzi, La parola di Dio nella vita della Chiesa; Padre Turoldo che sostituisce il cardinal Lercaro, Il comandamento più grande. Temi ancora attuali. L’intero ciclo viene riportato puntualmente da Il Corriere Della

Valtellina e da l ‘Ordine che sottolineano che la numerose presenze e i puntuali interventi testimoniano il grande interesse dei giovani all’iniziativa. Diverso il punto di vista di Vero nel suo contributo Tarca. Rivoluzione.

[10] Raniero la Valle dovrà dimettersi dal giornale dei vescovi L’Avvenire e a Lercaro verrà tolto il vescovado per le sue omelie contro i bombardamenti americani in Vietnam. Non tenne la sua conferenza a Sondrio.

[11] IL Movimento Studentesco stampò un libretto dall’eloquente titolo Università Cattolica? Nei primi anni ’70, nella giornata dedicata all’Università Cattolica, venne distribuito all’esterno della Collegiata di Sondrio, da laureati di quella università legati al Movimento, un volantino che invitava i fedeli a riflettere sul significato di un’Università cattolica. Un gruppo di fascisti disperse i volantini.

[12] E’ il titolo di un intervento di don Milani diffuso in un ciclostilato in proprio che don Abramo aveva avuto tra le mani.

[13] Don Battista Rinaldi, La parola il simbolo la sapienza. La fede al guado della modernità negli scritti d Abramo Levi, Servitium, p.24-25.

[14] Don Domenico Canciani lasciato il liceo di Bormio, insegnò fino alla pensione all’Università di Padova, interessandosi in particolare delle minoranze linguistiche.

[15] L’espressione è usata con un titolo a caratteri cubitali in un articolo di mons. Fogliani sul Corriere della Valtellina del primo febbraio !969 “Una contestazione religiosa anche a Sondrio conservatori e progressisti di fronte alla Gerarchia”: un attacco ironico e dotto, a cui rispondono nel numero successivo i firmatari del volantino che invitava ad un incontro col nuovo arciprete, riaffermando la volontà di dialogo.

[16] Il Corriere della Valtellina del 31 Gennaio dedica l’intera terza pagina alle Associazioni e gruppi giovanili in Valtellina. In particolare informa, con indirizzi dei responsabili, che: Universitari che hanno partecipato attivamente al movimento Studentesco s’impegnano in un doposcuola in un quartiere popolare dove già funzionava l’anno scorso una scuola serali per operai.