Il lavoro era duro, ma la paga era sacra

 

La mia esperienza riguarda soprattutto gli anni ’70, infatti nel 1968 avevo 15 anni e l’unica cosa che ricordo è riferita ad uno sciopero degli studenti. Frequentavo allora l’Istituto professionale Fiocchi a Lecco e con gli altri miei compagni di scuola fui coinvolto nel mio primo sciopero, uno sciopero che non era stato indetto da noi ma dagli studenti dell’Istituto Badoni, al piano sotto di noi nello stesso palazzo scolastico.

La mia famiglia era da poco diventata operaia dopo aver abbandonato le attività in agricoltura. Mio padre aveva trovato lavoro in edilizia, dopo che in tempo di guerra era stato un deportato nei campi di lavoro in Germania. Questa sua esperienza era stata determinante per un orientamento politico e culturale fortemente improntato all’antifascismo che ovviamente cercò di trasmettere anche a noi figli.

A 17 o 18 anni avevo aderito al Gruppo Operai Studenti di Morbegno, che era composto principalmente da universitari, ma anche da alcuni operai. Molti studenti provenivano dal Movimento Studentesco (MS), quello che faceva riferimento alla Statale di Milano, ma vi erano anche quelli che simpatizzavano per altre organizzazioni della sinistra o che vi aderivano.

Dopo alcune esperienze lavorative negative presso ditte artigiane dove si era malpagati, se non addirittura non pagati, trovai lavoro presso il Cantiere Cranchi. Da loro il lavoro era duro, ma la paga era sacra, sempre corretta e regolare.

Gli operai del nostro gruppo erano tutti iscritti al Sindacato e c’era una visione molto unitaria. Io avevo aderito alla CISL, mentre altri avevano firmato la delega per la CGIL.

Dopo il lavoro si passava nella sede sindacale, a volte anche in quelle di tutte e due le sigle presenti a Morbegno, per rimanere sempre aggiornati sulla situazione (allora non c’erano cellulari e pc). Dopocena, almeno 2/3 volte alla settimana, si andava alla sede del Gruppo Operai Studenti, dove svolgevamo le nostre attività.

Si seguivano le iniziative nazionali e spesse volte si partecipava alle manifestazioni in genere a Milano o in altre città della Lombardia. Tra le tante ricordo quella a Milano per protestare contro l’assassinio di Roberto Franceschi avvenuta a Milano nel ’73 e, l’anno successivo, quella a Brescia in occasione dei funerali delle vittime della strage fascista di Piazza della Loggia.

L’attività era assai frenetica se si considerano anche i pochi mezzi tecnici che si possedevano al tempo. Ci si concentrava molto sulla diffusione del giornale, ma anche all’attività di volantinaggio che ci consentiva di intervenire puntualmente in merito ai fatti che accadevano; attaccavamo anche manifesti che solitamente provenivano dalla struttura nazionale; erano frequenti anche i presidi antifascisti.

Il dibattito/discussione al nostro interno era molto intenso ed in caso di contrasti in genere intervenivano i dirigenti che con la loro preparazione riconosciuta riuscivano a convincere tutti della bontà della linea nazionale. Più tardi, mi sembra nel 1976, il Movimento Studentesco si sciolse e fu fondato il Movimento Lavoratori per il Socialismo (MLS) e noi vendevamo il giornale Fronte Popolare al mercato.

Nel primo periodo, come rappresentante operaio a volte trovavo difficoltà a comprendere alcune cose, ma il gruppo aveva una buona capacità di coesione ed il clima che si era creato anche nel nostro territorio era assai favorevole e pertanto il nostro lavoro era facilitato.

L’attività sindacale da noi era considerata importantissima. Nella zona di Morbegno diedi tutto il mio supporto per sindacalizzare l’azienda in cui lavoravo (ai tempi si trattava di una piccola azienda sorta da poco in bassa valle con un datore (padrone come si chiamava ai tempi) con atteggiamenti molto paternalistici ed antisindacali.

Le prime assemblee andarono buche, anche se poi ci si era accorti che alcuni lavoratori erano interessati agli argomenti sindacali ed ascoltavano da dietro la porta degli spogliatoi. In seguito riuscimmo ad organizzare la partecipazione vera e propria e scattarono le prime iscrizioni al sindacato.

Ritornato in azienda dopo il servizio militare nel 1972 alle prime votazioni fui eletto nel Consiglio di Fabbrica. I sindacati nazionali organizzavano scioperi non solo per le vertenze contrattuali, ma anche in segno di solidarietà con i lavoratori di altri paesi o per protesta contro avvenimenti considerati pericolosi per la democrazia (es. le stragi fasciste). Aderivo sempre a queste azioni, ma a volte ero l’unico ad uscire dalla fabbrica. Col passare del tempo il C.d.F. si rafforzò e decidemmo allora che nei casi di scioperi generali oppure per il sostegno del contratto nazionale era necessario porre il picchetto ai cancelli della fabbrica. Così facemmo e gli scioperi cominciarono a riuscire. Ebbe inizio pure la contrattazione aziendale sempre supportata dai nostri sindacalisti di Morbegno; avendo acquisito un buon potere contrattuale, i risultati non si fecero attendere; si contrattava soprattutto in materia di miglioramento dell’ambiente di lavoro, ma anche soldi dal momento che l’azienda navigava in buone acque.

L’esperienza di questi primi anni fu per me molto ricca e molto importante.

Negli anni successivi, gli anni del cosiddetto riflusso, mantenni sempre un legame stretto con il sindacato. Quando fui distaccato come operatore a tempo pieno, il mio modo di agire seguì sempre i fondamenti di quella esperienza ossia cercare di organizzare, difendere e tutelare i più deboli ossia i lavoratori.

Da allora fino ad arrivare ai giorni nostri sono cambiate talmente tante cose che si rischia di rimanere confusi. L’evoluzione/involuzione del quadro politico è stato talmente vasto da renderlo ora assolutamente irriconoscibile.