Nell’attuale stato di emergenza sanitaria, uno tra gli aspetti di maggiore impatto sociale è stata la sospensione delle attività didattiche in presenza, determinata a livello mondiale dai rischi innegabili legati a contesti di grande affollamento e di capillare diffusione nel tessuto sociale quali le scuole.

In Italia, come nel resto del mondo, sono state attivate praticamente da subito modalità di didattica a distanza, adattando alla situazione delle scuole primarie e secondarie approcci e piattaforme utilizzate ormai da vari anni nell’ambito della formazione universitaria, dell’istruzione degli adulti, della formazione professionale dei lavoratori.

Ritengo che la questione della didattica a distanza, con le sue opportunità e le sue difficoltà debba essere analizzata su varie dimensioni, quella tecnologica e sociale, quella organizzativa e legata al ruolo degli insegnanti e delle famiglie, quella culturale e pedagogica. Il filo rosso del pensiero critico, che ha animato il movimento del ‘68, può aiutarci a comprendere le dinamiche che si sono dispiegate e che influenzeranno il dibattito e le scelte per il prossimo futuro, se siamo consapevoli che il prossimo anno scolastico non vedrà in atto, a livello di infrastrutture fisiche e di trasporto oltre che di disponibilità di risorse umane, le condizioni strutturali per archiviare la didattica a distanza come una provvisoria parentesi e riprendere la scuola più o meno come prima.

Dato per scontato che la tecnologia non è neutra, ma concorre a determinare gli ambienti sociali, di lavoro e di apprendimento, si tratta di sollevare lo sguardo dalle argomentazioni spesso affrettate sugli effetti presuntamente solo negativi della didattica a distanza. La formazione a distanza per gli studenti universitari e gli adulti, abbattendo gli ostacoli legati alla marginalità geografica, ha storicamente rappresentato un’opportunità per tutti coloro che si trovano a vivere in contesti periferici ed è stata attivamente promossa da varie agenzie finalizzate all’emancipazione di aree e soggetti svantaggiati. Ovviamente il canale digitale richiede dispositivi e sistemi di connessione adeguati, alcune abilità di base nel suo utilizzo ed infine condiziona le forme espressive; i computer si sono adattati progressivamente alla dimensione creativa, in particolare in ambito grafico e musicale, ma soprattutto in queste aree la familiarità con programmi e periferiche (quali le tavolette grafiche) è tutt’altro che diffusa tra docenti e studenti e nella didattica scolastica. Su un altro piano occorre essere consapevoli dell’intreccio tra dimensione tecnologica e dimensione organizzativa, come è stato compreso a partire dalle analisi sui sistemi socio-tecnici: introdurre massivamente nuove tecnologie implica cambiamenti profondi nel modo di organizzarsi dei lavoratori; nel caso della scuola nel modo di strutturare l’ambiente di apprendimento, che è lo spazio fisico, sociale e tecnologico dove avviene l’interazione tra chi insegna e chi apprende. In particolare la didattica a distanza a livello della popolazione scolastica tra la scuola primaria ed il primo biennio delle scuole superiori implica un profondo coinvolgimento delle famiglie: in ogni casa occorre ricavare uno spazio per studiare, disponibile per ciascun figlio, spesso in contemporanea con attività di lavoro a distanza dei genitori; i familiari sono coinvolti nella predisposizione dell’ambiente di apprendimento, ad esempio nell’accesso alle piattaforme informatiche, dunque nel supporto tecnologico, ma soprattutto nel tutoraggio degli studenti. Durante la scuola in presenza la funzione tutoriale è commista e confusa con quella di docenza; nella didattica a distanza i due ruoli sono tipicamente distinti, ad esempio nella formazione a distanza degli adulti esiste la figura del tutor, che segue gli studenti, ne monitora il processo di apprendimento, lo svolgimento delle consegne e la restituzione degli elaborati, offre supporto tecnico e operativo agli studenti stessi, media la comunicazione tra studenti e insegnante, mentre il docente si connota eminentemente come erogatore delle lezioni e valutatore degli elaborati. Questo sistema di ruoli, ormai pacifico nel campo della formazione aziendale e dei corsi universitari erogati a distanza, è piombato come una valanga sul mondo della scuola, senza un’adeguata tematizzazione a livello del dibattito nazionale, che è rimasto focalizzato sulla questione, pur rilevante, dell’accesso ai dispositivi informatici ed alle connessioni; sul primo fattore di criticità e di potenziale esclusione molto è stato fatto, e a livello della provincia di Sondrio ritengo non vi siano famiglie che, avendo chiesto sostegno alle scuole per carenza di dispositivi, ne siano rimaste sprovviste. Per quanto riguarda le connessioni internet esistono annose problematiche legate alle infrastrutture digitali, non ampliabili in tempi brevi, ma la situazione è quasi ovunque soddisfacente. I veri fattori di criticità, soprattutto per la scuola primaria, sono rappresentati dalla necessità di abilitare tutti i genitori sul piano delle competenze didattiche a svolgere un efficace ruolo di tutoraggio, e dal superamento della difficoltà di alcuni docenti a riconoscere questo ruolo, infine nell’esigenza che entrambe le parti apprendano a dialogare assiduamente e ad  interfacciarsi in una geometria differente rispetto a prima. La didattica a distanza consente e richiede un’organizzazione flessibile dei tempi, evitando di trasdurre linearmente il calendario settimanale in altrettante ore di attività sincrona online, palesemente insostenibili per docenti, studenti e famiglie e articolando con equilibrio attività sincrone e asincrone, quali testi da leggere o da produrre, elaborati da sviluppare, relazioni da stendere. Un ulteriore aspetto è quello della relazione tra docenti, studenti e famiglie, che in didattica a distanza impone di superare impostazioni centrate sul controllo ossessivo dell’alunno durante le prove valutative e suggerisce di spostare la tipologia delle verifiche dalla focalizzazione sul possesso di conoscenze e abilità di base al riconoscimento della capacità dell’alunno nel mobilitare abilità e utilizzare informazioni, anche reperite al momento, per costruire testi ed elaborati originali. Questo è stato, in questi mesi, lo shibbolet tra docenti tradizionalisti, rispetto al loro ruolo ben più che all’uso delle tecnologie, e docenti orientati a riconoscere la centralità dello studente nel processo di costruzione degli apprendimenti. L’argomento secondo cui solo il controllo rigido del docente sull’aula garantirebbe equità e pari condizioni appare francamente risibile, se teniamo conto dei dati statistici sulla dispersione scolastica in Italia, e degli studi psico-sociali che a partire dagli anni Sessanta hanno demistificato il mito dell’imparzialità del docente e dell’oggettività della valutazione in aula. Il docente è oggi chiamato ad abbandonare una posizione di potere per mettersi in gioco nella proposta di attività, progetti, contenuti capaci di coinvolgere alunni che negli attuali ambienti ibridi di apprendimento sfuggono ad un controllo sistematico. La didattica a distanza non esclude la possibilità di sacche di emarginazione, soprattutto di situazioni di svantaggio cumulativo, ma in questo si colloca in mera continuità con la didattica in presenza. Si tratta piuttosto di mettere in atto azioni di supporto alle situazioni di marginalità, ad esempio garantendo attività di tutoraggio in videoconferenza per studenti in situazioni familiari disagiate, come si è iniziato a fare ad opera di varie realtà del volontariato. Questo quadro complesso, nel quale emerge la lentezza della risposta istituzionale, per le caratteristiche elefantiache del sistema di istruzione statale e la giungla di vincoli della sua architettura sociale e organizzativa, apre nuovi spazi di attualità ai più incisivi apporti della pedagogia praticata nella costellazione del ‘68, da don Milani a Freire ad Illich, quali l’orientamento verso un coinvolgimento reale del territorio attraverso le reti, che come insegnava Freire possono mettere in contatto i diversi attori coinvolti nel processo educativo, nella complementarietà dei loro ruoli. La pratica delle reti troverebbe così nuova vita, svincolandosi dal guscio vuoto dei formalismi burocratici che connota tanta parte di ciò che nella scuola dell’autonomia viene definito rete. La didattica a distanza, in uno scenario che per vari anni scolastici potrà richiedere forme ibride tra scuola a distanza e in presenza, riattualizza il lavoro di Illich sulla deistituzionalizzazione dell’insegnamento. Gli spazi fisici e virtuali dovranno essere ripensati in profondità, tenendo conto dei nuovi vincoli, quali la difficoltà ad usare spazi comuni nella stessa giornata da parte di gruppi diversi, dunque il possibile riutilizzo degli spazi laboratoriali e l’adozione di approcci BYOD, la necessità di interagire attraverso le piattaforme per videoconferenza, la necessità di articolare studio e lavoro in parte nei locali scolastici in parte nell’ambiente domestico. I nuovi spazi ibridi del fare scuola, in parte fisici e distribuiti, in parte virtuali, dovranno comunque mettere al centro l’evento educativo, relazione autorevole ma non autoritaria tra maestri ed allievi, come disse nel 1960 l’architetto Louis Kahn: “Considero la scuola come un ambiente spaziale dove sia bello imparare. Le scuole sono cominciate con un uomo sotto a un albero, che non sapeva di essere un maestro, e che esponeva ciò che aveva compreso ad alcuni altri, che non sapevano di essere degli studenti. Gli studenti riflettevano sugli scambi di idee che avvenivano tra loro e pensavano che era bello trovarsi alla presenza di quell’uomo. Si auguravano che anche i loro figli ascoltassero un uomo simile.”

Lo stato di eccezione che ha determinato la didattica a distanza non costituisce per l’impresa educativa una catastrofe, se non altro perché Benjamin ci ha insegnato che la tempesta che impiglia le ali dell’angelo della storia non è mai cessata; ci ha però anche insegnato che ogni attimo porta con sé una debole forza messianica, in altri termini che lo stato di eccezione, a volte manifesto a volte latente, apre uno spiraglio di opportunità per gli oppressi, nella società come nelle istituzioni.

Gianmaria Toffi Dirigente Scolastico