Pensieri e riflessioni degli operatori della Cooperativa Lotta Contro L’Emarginazione durante la prima fase dell’emergenza dovuta al COVID 19

Lavorare nel sociale significa relazione e prossimità, significa star accanto, accompagnare, sostenere….pratiche e vocaboli che richiamano al contatto, alla vicinanza. Per chi lavora quotidianamente nel sociale, entrare nell’ottica del distanziamento sociale non è stato facile.

Siamo professionalmente abituati alla giusta distanza ma questa implica la condivisione di spazi e momenti che prevedono guardarsi negli occhi, passare del tempo insieme e accorgersi di cambiamenti, anche minimi, di comportamenti.  È questo uno dei vissuti più rilevanti che abbiamo provato e che crediamo possa essere condiviso dalle tante persone  che vivono il sociale come professione oltre che come predisposizione. Questo è stato il vissuto di molti di noi di Cooperativa Lotta Contro l’Emarginazione.

L’emergenza Covid-19 è arrivata in punta di piedi, silenziosa, subdola, ci ha colto di sorpresa e soprattutto ci ha messo di fronte alle nostre fragilità, alle nostre “certezze” e, per certi versi, anche al nostro sentirci a volte onnipotenti. Non è stato per nulla semplice convivere con le nostre e altrui paure e incertezze: il senso di sconforto, l’ansia di essere contagiati con la paura stessa di diventare veicolo di contagio verso persone più fragili, il pensiero di non poter vedere i propri familiari, il senso di impotenza, la battaglia mentale tra desiderio/necessità di  libertà e desiderio/necessità di  controllo…. Oltre a questo però c’è la consapevolezza che quando un accadimento irrompe all’improvviso nella vita e la sconvolge, si può provare a farne esperienza ed imparare da ciò che accade con un pizzico di utopia ma anche con  cinica ragionevolezza. Paradossalmente per alcuni di noi questo virus e questo distanziamento fisico ha  determinato una maggior vicinanza ai beneficiari. Soprattutto nelle prime settimane questo esserci stati, anche fisicamente nelle case,  ha favorito  con le persone accolte una  maggior condivisione di sentimenti, ha permesso di riconoscersi nella paura, nell’incertezza ma anche nella speranza.

In pochi giorni,  siamo passati velocemente da un generico allarme e preoccupazione  ad un responsabile rigore delle prescrizioni. Da subito sono stati fermati i progetti collegati al mondo della scuola:  vedere il CPIA chiuso da un giorno all’altro è stato un fulmine a ciel sereno. Lavorando con i bambini (come babysitter mentre le mamme vanno a scuola di italiano), è stato molto triste interrompere da un giorno all’altro. Poi via via anche altri progetti hanno visto interruzioni o profonde modifiche, per rispettare le disposizioni. Tra questi anche i progetti di formazione sulle competenze genitoriali oppure le attività effettuate nei  nostri orti sociali che per alcuni (operatori e non ) stavano diventando elemento importante della propria  vita e questo blocco senza scadenza rischia di compromettere.  

Abbiamo provato dapprima una sensazione smarrimento ma questa è durata poco… la situazione è precipitata in un vortice di notizie che avevano con sé limitazioni sempre più restrittive nel nostro modo di operare. In pochi giorni sono venuti meno eventi, assemblee, riunioni e di seguito le equipe e qualunque attività che prevedesse la presenza di più di 3 persone. Come riorganizzare il lavoro? Quali strumenti, canali di comunicazioni e occasioni potevano sopperire all’impossibilità di incontrarsi, salvaguardando le necessarie connessioni, gli scambi e la nostra attitudine e consuetudine a lavorare in equipe? Ma soprattutto…come riuscire a non far sentire abbandonate le tante persone,  con cui stiamo facendo un pezzo di vita insieme, dando sostegno verso l’integrazione sociale e l’autonomia oppure le persone che ricevono supporto relazionale e psicologico nel loro percorso contro le dipendenze? Se questi sono stati gli obiettivi ultimi a cui abbiamo fin da subito cercato di tendere, nel quotidiano e soprattutto nei primi giorni le attenzioni sono andate su necessità ancor più di base. Dal recuperare mascherine, gel e sapone, disinfettanti per gli operatori e per le persone accolte al garantire la corretta informazione sulle prescrizioni che si sono susseguite traducendo le informazioni, dallo spiegare le 10 regole di igiene principali al cercare di far capire l’importanza di misurare e comunicare la temperatura tutti i giorni e anche gli spostamenti.

Abbiamo cercato,  attraverso la tecnologia, di ridurre le distanze e l’isolamento; dalla  consueta videochiamata mattutina alle video lezioni di italiano, dalle video ricette con la consegna degli alimenti per poterla replicare alla proposta di un semenzaio in casa, dalla  ginnastica in collegamento con i colleghi di Como e le ragazze accolte al lancio della II edizione del WE GOT TALENT dello SPRAR SIPROIMI della Provincia di Sondrio.  Oltre a questo gli operatori hanno comunque continuato ad effettuare  il passaggio fisico nelle diverse abitazioni come attività di monitoraggio e sostegno. Questa vicinanza abbiamo cercato di mantenerla non solo  con le persone migranti,  accolte negli  appartamenti, ma anche con  le persone che abbiamo conosciuto in questi anni al drop in, chiuso e  in attesa che sia rifinanziato oppure con le persone appartenenti al gruppo di mutuo aiuto per la dipendenza da gioco d’azzardo.  Alcuni beneficiari hanno risposto positivamente alle attività proposte, altri invece hanno preferito mantenere la loro intimità ma, ciò che  sicuramente è pervenuto loro è il  fatto che tutti noi condividiamo la stessa situazione di isolamento forzato.

In tutto questo poi è da considerare come nell’emergenza legata al coronavirus la figura dell’operatore sociale sia stata assolutamente dimenticata, nonostante in molte situazione abbia continuato a prestare il suo  sostegno a una nazione piegata dal virus. Gli operatori di Cooperativa Lotta, come quelli di tante altre cooperative sociali italiane, con grandi difficoltà, hanno continuato  a prestare la propria professionalità, per garantire servizi alle persone in difficoltà – minori, persone con disabilità, persone con dipendenze, senza fissa dimora, ex detenuti, anziani e migranti. In questo momento storico diventa allora di fondamentale importanza fare sentire la propria voce,  narrare quello che sta succedendo  nei servizi e che cosa voglia dire stare vicini alle persone più fragili, quelle spesso dimenticate in questa emergenza sanitaria. Sostenere e dar voce agli operatori quindi diviene  rilevante proprio per sostenere i servizi e in particolare per sostenere chi è più vulnerabile.  In questa situazione gli ultimi sono ancor più ultimi ed emerge con chiarezza la difficoltà del  nostro sistema nel farsi guidare dalla giustizia sociale e riconoscere i bisogni di chi è più in difficoltà.

Anche per questo vi ringraziamo per lo spazio che ci avete dato. Per raccontarci e raccontare.

Pensieri degli operatori della Coop. Lotta Contro l’Emarginazione